Il contributo apre una riflessione sulla decisione della Corte costituzionale, concernente il tema dei reati ostativi, una materia non del tutto nuova, sebbene in tale pronuncia in rilievo per un profilo prima d’ora mai affrontato dal giudice delle leggi: quello della concessione del permesso premio al condannato per delitti di mafia non collaborante con la giustizia. Il nodo centrale attorno al quale il contributo si sofferma è, dunque, quello della disciplina della collaborazione con la giustizia e delle sue implicazioni rispetto alla posizione del condannato. L’impianto normativo poggia, come noto, interamente su una “presunzione legislativa assoluta”, per cui la commissione di certi reati, in assenza di collaborazione prova la persistenza del collegamento con l’ambiente malavitoso e, quindi, preclude la fruizione di taluni benefici penitenziari extramurari. L’automatismo secco e perentorio per il quale la mancata collaborazione è predittiva (e probante) della perdurante pericolosità sociale del detenuto è, perciò, una prognosi superabile solo attraverso la collaborazione stessa. Da simile prospettiva l’A. muove entro la cornice del dettato costituzionale dell’art. 27, terzo comma, Cost. al fine di valutare la plausibilità della disciplina all’interno di un sistema che investe nella risocializzazione del condannato, pur senza mai poterlo reinserire effettivamente nella società.

L'accesso ai permessi premio tra finalità rieducativa della pena ed esigenze di politica criminale

michela michetti
2019-01-01

Abstract

Il contributo apre una riflessione sulla decisione della Corte costituzionale, concernente il tema dei reati ostativi, una materia non del tutto nuova, sebbene in tale pronuncia in rilievo per un profilo prima d’ora mai affrontato dal giudice delle leggi: quello della concessione del permesso premio al condannato per delitti di mafia non collaborante con la giustizia. Il nodo centrale attorno al quale il contributo si sofferma è, dunque, quello della disciplina della collaborazione con la giustizia e delle sue implicazioni rispetto alla posizione del condannato. L’impianto normativo poggia, come noto, interamente su una “presunzione legislativa assoluta”, per cui la commissione di certi reati, in assenza di collaborazione prova la persistenza del collegamento con l’ambiente malavitoso e, quindi, preclude la fruizione di taluni benefici penitenziari extramurari. L’automatismo secco e perentorio per il quale la mancata collaborazione è predittiva (e probante) della perdurante pericolosità sociale del detenuto è, perciò, una prognosi superabile solo attraverso la collaborazione stessa. Da simile prospettiva l’A. muove entro la cornice del dettato costituzionale dell’art. 27, terzo comma, Cost. al fine di valutare la plausibilità della disciplina all’interno di un sistema che investe nella risocializzazione del condannato, pur senza mai poterlo reinserire effettivamente nella società.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/107849
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