L’intento del saggio è quello di ricostruire il percorso attraverso il quale, nella cultura giuridica e psichiatrica del XIX secolo, prende forma la figura del criminale inteso come nemico della società. Dopo aver individuato il “vizio d’origine” di tale prospettiva nel contrattualismo illuminista (in particolare nella sua idea di estromissione dal consesso sociale di coloro che rompono il patto sociale), lo scritto si concentra sull’analisi di un doppio processo che si produce nella cultura europea ottocentesca. Da una parti, infatti, nell’ambito della riflessione penalistica (perlomeno quella ispirata alle teorie lombrosiane) si tende a naturalizzare il criminale che si dimostri insensibile ad ogni tentativo di risocializzazione, collocandolo in uno spazio antropologico più vicino alla natura che non alla civiltà. Dall’altro, nella cultura medico-psichiatrica, si cerca di normativizzare la malattia mentale (e assieme ad essa il comportamento deviante), tentando di rendere sempre più visibile, sul piano dell’analisi scientifica, i tratti distintivi che differenziano il normale dall’anormale. Il frutto di questo doppio percorso sembra essere proprio la definizione di un soggetto (sia esso il criminale incallito e recidivante o il contestatore politico radicale) che per il fatto di essere inassimilabile alle condizioni del vivere civile non può che essere considerato un nemico della società.[...]
Le “sentinelle del male”. L’invenzione del criminale nemico della società tra naturalismo giuridico e normativismo psichiatrico
MARCHETTI, Paolo
2009-01-01
Abstract
L’intento del saggio è quello di ricostruire il percorso attraverso il quale, nella cultura giuridica e psichiatrica del XIX secolo, prende forma la figura del criminale inteso come nemico della società. Dopo aver individuato il “vizio d’origine” di tale prospettiva nel contrattualismo illuminista (in particolare nella sua idea di estromissione dal consesso sociale di coloro che rompono il patto sociale), lo scritto si concentra sull’analisi di un doppio processo che si produce nella cultura europea ottocentesca. Da una parti, infatti, nell’ambito della riflessione penalistica (perlomeno quella ispirata alle teorie lombrosiane) si tende a naturalizzare il criminale che si dimostri insensibile ad ogni tentativo di risocializzazione, collocandolo in uno spazio antropologico più vicino alla natura che non alla civiltà. Dall’altro, nella cultura medico-psichiatrica, si cerca di normativizzare la malattia mentale (e assieme ad essa il comportamento deviante), tentando di rendere sempre più visibile, sul piano dell’analisi scientifica, i tratti distintivi che differenziano il normale dall’anormale. Il frutto di questo doppio percorso sembra essere proprio la definizione di un soggetto (sia esso il criminale incallito e recidivante o il contestatore politico radicale) che per il fatto di essere inassimilabile alle condizioni del vivere civile non può che essere considerato un nemico della società.[...]I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.