La crisi economica i cui effetti si manifestano con sempre maggiore frequenza, intensità e diffusione da (almeno) quindici anni a questa parte non è un evento eccezionale, ma la manifestazione normale del funzionamento del capitalismo contemporaneo. Un saggio del profitto industriale in tendenziale diminuzione a causa dell’aumento dell’intensità capitalistica dei processi produttivi “costringe” le forze del capitale a spingere la leva del debito verso livelli sempre più alti e perciò stesso più esposti ai rischi di insolvenza e di illiquidità. Nemmeno le periodiche svalutazioni e distruzioni di capitale in eccesso che si manifestano nella formazione di ricorrenti bolle speculative riescono a ridurre significativamente il capitale eccedente in tutte le sue forme di capitale monetario, fisso, variabile. La natura strutturale della crisi non viene colta e analizzata dalla maggior parte degli economisti ortodossi, i cui modelli teorici continuano ad essere fondati su ipotesi che non reggono alla prova dei fatti. I mercati non sono efficienti, l’interdipendenza tra agenti economici amplifica le crisi e la forma della distribuzione statistica dei rendimenti finanziari non è di tipo “normale”, ma caratterizzata da media instabile, varianza tendenzialmente infinita e code spesse e asimmetriche. In casi del genere gli eventi eccezionali non solo producono effetti devastanti ma diventano anche più frequenti, come dimostrano esempi recenti e meno derivati dalla storia economica. L’epilogo dei cicli negativi della crisi può essere l’insolvenza, non solo dei soggetti tradizionalmente esposti – almeno teoricamente – a tali rischi, come banche e imprese, ma anche degli stessi Stati sovrani, i cui debiti costituiscono una frazione non trascurabile dell’intero stock del debito globale.[...]
L'autunno del capitale
DONATO, Maurizio
2008-01-01
Abstract
La crisi economica i cui effetti si manifestano con sempre maggiore frequenza, intensità e diffusione da (almeno) quindici anni a questa parte non è un evento eccezionale, ma la manifestazione normale del funzionamento del capitalismo contemporaneo. Un saggio del profitto industriale in tendenziale diminuzione a causa dell’aumento dell’intensità capitalistica dei processi produttivi “costringe” le forze del capitale a spingere la leva del debito verso livelli sempre più alti e perciò stesso più esposti ai rischi di insolvenza e di illiquidità. Nemmeno le periodiche svalutazioni e distruzioni di capitale in eccesso che si manifestano nella formazione di ricorrenti bolle speculative riescono a ridurre significativamente il capitale eccedente in tutte le sue forme di capitale monetario, fisso, variabile. La natura strutturale della crisi non viene colta e analizzata dalla maggior parte degli economisti ortodossi, i cui modelli teorici continuano ad essere fondati su ipotesi che non reggono alla prova dei fatti. I mercati non sono efficienti, l’interdipendenza tra agenti economici amplifica le crisi e la forma della distribuzione statistica dei rendimenti finanziari non è di tipo “normale”, ma caratterizzata da media instabile, varianza tendenzialmente infinita e code spesse e asimmetriche. In casi del genere gli eventi eccezionali non solo producono effetti devastanti ma diventano anche più frequenti, come dimostrano esempi recenti e meno derivati dalla storia economica. L’epilogo dei cicli negativi della crisi può essere l’insolvenza, non solo dei soggetti tradizionalmente esposti – almeno teoricamente – a tali rischi, come banche e imprese, ma anche degli stessi Stati sovrani, i cui debiti costituiscono una frazione non trascurabile dell’intero stock del debito globale.[...]I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.