Il diritto della parte di chiedere l’esibizione, e per il suo tramite l’acquisizione al processo, di materiale probatorio essenziale per fondare la propria azione, ma detenuto da altri soggetti – la controparte o un terzo – rappresenta un tassello fondamentale nella nuova disciplina tratteggiata dalla Direttiva la cui finalità principale è quella di garantire, attraverso l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, un effettivo diritto al pieno risarcimento del danno subito in seguito ad una violazione del diritto della concorrenza. Ed invero siffatte azioni di risarcimento del danno si caratterizzano non solo per la centralità della prova quale strumento di accertamento e ricostruzione delle circostanze fattuali, ma per le difficoltà spesso connesse all’acquisizione e alla formazione della prova medesima, nonché per la forte asimmetria informativa tra le parti coinvolte, che si traduce in una posizione di svantaggio per il danneggiato per quanto concerne l'ottenimento del materiale probatorio necessario a sostanziare l’azione. E questo specialmente nelle controversie c.d. stand alone in cui è la parte attrice a sobbarcarsi l’onere di dimostrare la violazione delle norme antitrust, senza potersi giovare delle indagini compiute dall’Autorità nazionale che vigila sulla concorrenza. Ecco, allora, che il legislatore prevede, là dove la parte sia in grado di presentare una richiesta motivata “comprendente fatti e prove ragionevolmente disponibili che siano sufficienti a sostenere la plausibilità della sua domanda di risarcimento del danno”, che il giudice possa ordinare al terzo, ivi compresa l’Autorità garante nazionale o europea, o alla parte la divulgazione di prove o categorie di prove utili a corroborare la richiesta (generalmente) attorea. Chiaramente, affinché il nuovo strumento della divulgazione delle prove possa funzionare in maniera appropriata, occorre prevedere dei meccanismi sanzionatori efficaci: e cioè tali da indurre le parti o i terzi ad ottemperare all’ordine del giudice. I destinatari di un siffatto ordine, infatti, ed in particolar modo le imprese convenute in un’azione di risarcimento del danno, sono ben consapevoli dei rischi derivanti dalla divulgazione al giudice di materiale probatorio rilevante e potrebbero essere poco inclini alla condivisione. La possibilità per il giudice di disporre di strumenti coercitivi e sanzionatori efficaci e, per ciò stesso, dotati di valenza deterrente, rappresenta dunque un elemento essenziale della disciplina della divulgazione delle prove e – data la centralità dell’istituto per l’esperimento delle azioni di private enforcement – per garantire il pieno diritto al risarcimento del danno. Il presente studio si propone di esaminare le novità introdotte dalla Direttiva, ed il loro recepimento nell’ordinamento italiano, con riferimento ai meccanismi sanzionatori ivi contemplati per il caso in cui la parte o il terzo non ottemperino, ovvero rifiutino espressamente di voler ottemperare, all’ordine del giudice di divulgare prove rilevanti per il processo. Come si avrà modo di osservare, nonostante le disposizioni contenute nella Direttiva con riferimento alle sanzioni possono sembrare avere, in prima battuta, un contenuto estremamente innovativo, esse rappresentano solo un timido tentativo di armonizzazione in un contesto, quale quello del diritto processuale, ancora saldamente ancorato a meccanismi e procedure nazionali.

Sulle sanzioni comminabili in caso di mancata ottemperanza all’ingiunzione di divulgazione delle prove nei giudizi antitrust

Emanuela Arezzo
2018-01-01

Abstract

Il diritto della parte di chiedere l’esibizione, e per il suo tramite l’acquisizione al processo, di materiale probatorio essenziale per fondare la propria azione, ma detenuto da altri soggetti – la controparte o un terzo – rappresenta un tassello fondamentale nella nuova disciplina tratteggiata dalla Direttiva la cui finalità principale è quella di garantire, attraverso l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, un effettivo diritto al pieno risarcimento del danno subito in seguito ad una violazione del diritto della concorrenza. Ed invero siffatte azioni di risarcimento del danno si caratterizzano non solo per la centralità della prova quale strumento di accertamento e ricostruzione delle circostanze fattuali, ma per le difficoltà spesso connesse all’acquisizione e alla formazione della prova medesima, nonché per la forte asimmetria informativa tra le parti coinvolte, che si traduce in una posizione di svantaggio per il danneggiato per quanto concerne l'ottenimento del materiale probatorio necessario a sostanziare l’azione. E questo specialmente nelle controversie c.d. stand alone in cui è la parte attrice a sobbarcarsi l’onere di dimostrare la violazione delle norme antitrust, senza potersi giovare delle indagini compiute dall’Autorità nazionale che vigila sulla concorrenza. Ecco, allora, che il legislatore prevede, là dove la parte sia in grado di presentare una richiesta motivata “comprendente fatti e prove ragionevolmente disponibili che siano sufficienti a sostenere la plausibilità della sua domanda di risarcimento del danno”, che il giudice possa ordinare al terzo, ivi compresa l’Autorità garante nazionale o europea, o alla parte la divulgazione di prove o categorie di prove utili a corroborare la richiesta (generalmente) attorea. Chiaramente, affinché il nuovo strumento della divulgazione delle prove possa funzionare in maniera appropriata, occorre prevedere dei meccanismi sanzionatori efficaci: e cioè tali da indurre le parti o i terzi ad ottemperare all’ordine del giudice. I destinatari di un siffatto ordine, infatti, ed in particolar modo le imprese convenute in un’azione di risarcimento del danno, sono ben consapevoli dei rischi derivanti dalla divulgazione al giudice di materiale probatorio rilevante e potrebbero essere poco inclini alla condivisione. La possibilità per il giudice di disporre di strumenti coercitivi e sanzionatori efficaci e, per ciò stesso, dotati di valenza deterrente, rappresenta dunque un elemento essenziale della disciplina della divulgazione delle prove e – data la centralità dell’istituto per l’esperimento delle azioni di private enforcement – per garantire il pieno diritto al risarcimento del danno. Il presente studio si propone di esaminare le novità introdotte dalla Direttiva, ed il loro recepimento nell’ordinamento italiano, con riferimento ai meccanismi sanzionatori ivi contemplati per il caso in cui la parte o il terzo non ottemperino, ovvero rifiutino espressamente di voler ottemperare, all’ordine del giudice di divulgare prove rilevanti per il processo. Come si avrà modo di osservare, nonostante le disposizioni contenute nella Direttiva con riferimento alle sanzioni possono sembrare avere, in prima battuta, un contenuto estremamente innovativo, esse rappresentano solo un timido tentativo di armonizzazione in un contesto, quale quello del diritto processuale, ancora saldamente ancorato a meccanismi e procedure nazionali.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/103462
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