Il volume ripercorre le tappe della fortuna di Dante negli ambienti dell’emigrazione politica italiana durante la prima metà dell’Ottocento, quando l’autore delle cantiche rappresentava per i nostri patrioti il profeta del Risorgimento. Dopo i primi estemporanei commenti di Muratori, Vico e Gravina, che agli inizi del Settecento ridestarono la Commedia dalla crisi che la critica dantesca aveva attraversato nei secoli precedenti, gli avvenimenti rivoluzionari di fine secolo lasciarono un segno indelebile sul futuro degli studi danteschi che si focalizzarono sempre più verso i motivi politici del suo pensiero, destando l’interesse non solo dei letterati ma, a poco a poco, anche degli scrittori politici, stimolati dalle ampie prospettive di una lettura risorgimentale dell’opera di Dante. Lettura che ebbero, nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto gli intellettuali italiani in esilio, che esercitarono un ruolo decisivo per la costruzione della nazionalità, per i quali il Poeta fu considerato il gran padre degli esuli, ispirazione e immedesimazione, consolazione e modello morale.L’interesse maggiore si registrò senz’altro in Inghilterra, dove l’“italomania” letteraria e politica della cultura britannica del tempo favorì un fervido dibattito intorno a Dante che ben presto si sarebbe esteso all’interno dei confini nazionali. Ad aprire la discussione fu Ugo Foscolo il quale, ammiratore del “ghibellin fuggiasco” fin dagli anni giovanili, attese il periodo dell’esilio inglese (1816-1827) per proporre una compiuta interpretazione del pensiero dantesco, delineando la figura di un Dante riformatore religioso ed attribuendo al poema una missione profetica, finalizzata a ricondurre la Chiesa cattolica sulla via dell’insegnamento evangelico attraverso il distacco da ogni dominio terreno. Commento, quello foscoliano, che sarà radicalizzato da Gabriele Rossetti, teorico del dantismo antipapale ed esoterico al quale Panizzi, un altro protagonista della prima generazione di esuli italiani d’oltremanica, contrappose un Dante fautore di una riforma ecclesiastica, guida politica e rigeneratrice del popolo italiano. Ma al poeta di Zante si richiameranno anche Mazzini, che individuerà nel poeta fiorentino il precursore dell’unità nazionale e lo eleggerà “patron” della Giovine Italia.Numerosa e importante fu, nella prima metà dell’Ottocento, anche la comunità italiana in esilio a Parigi che diede un contributo decisivo alla diffusione della “mode” dantesca sia tra gli intellettuali romantici che presso l’opinione pubblica d’oltralpe. Nella capitale francese si occuparono di Dante, tra gli altri, Giosafatte Biagioli, Alessandro Poerio, i compilatori de “L’Esule”, Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli e Niccolò Tommaseo il quale ravvisò nella separazione del potere politico da quello spirituale l’idea più significativa ed originale del pensiero di Dante. Giudizio che sarà condiviso anche da Gioberti secondo cui il Poeta era stato veggente nell’aver individuato in un vasto processo di laicizzazione e moralizzazione delle istituzioni l’unico sentiero percorribile per il riscatto dello Stato e della nazione italiana.[...]
L'Esule tra gli esuli. Dante e l'emigrazione politica italiana dalla Restaurazione all'Unità
DI GIANNATALE, FABIO
2008-01-01
Abstract
Il volume ripercorre le tappe della fortuna di Dante negli ambienti dell’emigrazione politica italiana durante la prima metà dell’Ottocento, quando l’autore delle cantiche rappresentava per i nostri patrioti il profeta del Risorgimento. Dopo i primi estemporanei commenti di Muratori, Vico e Gravina, che agli inizi del Settecento ridestarono la Commedia dalla crisi che la critica dantesca aveva attraversato nei secoli precedenti, gli avvenimenti rivoluzionari di fine secolo lasciarono un segno indelebile sul futuro degli studi danteschi che si focalizzarono sempre più verso i motivi politici del suo pensiero, destando l’interesse non solo dei letterati ma, a poco a poco, anche degli scrittori politici, stimolati dalle ampie prospettive di una lettura risorgimentale dell’opera di Dante. Lettura che ebbero, nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto gli intellettuali italiani in esilio, che esercitarono un ruolo decisivo per la costruzione della nazionalità, per i quali il Poeta fu considerato il gran padre degli esuli, ispirazione e immedesimazione, consolazione e modello morale.L’interesse maggiore si registrò senz’altro in Inghilterra, dove l’“italomania” letteraria e politica della cultura britannica del tempo favorì un fervido dibattito intorno a Dante che ben presto si sarebbe esteso all’interno dei confini nazionali. Ad aprire la discussione fu Ugo Foscolo il quale, ammiratore del “ghibellin fuggiasco” fin dagli anni giovanili, attese il periodo dell’esilio inglese (1816-1827) per proporre una compiuta interpretazione del pensiero dantesco, delineando la figura di un Dante riformatore religioso ed attribuendo al poema una missione profetica, finalizzata a ricondurre la Chiesa cattolica sulla via dell’insegnamento evangelico attraverso il distacco da ogni dominio terreno. Commento, quello foscoliano, che sarà radicalizzato da Gabriele Rossetti, teorico del dantismo antipapale ed esoterico al quale Panizzi, un altro protagonista della prima generazione di esuli italiani d’oltremanica, contrappose un Dante fautore di una riforma ecclesiastica, guida politica e rigeneratrice del popolo italiano. Ma al poeta di Zante si richiameranno anche Mazzini, che individuerà nel poeta fiorentino il precursore dell’unità nazionale e lo eleggerà “patron” della Giovine Italia.Numerosa e importante fu, nella prima metà dell’Ottocento, anche la comunità italiana in esilio a Parigi che diede un contributo decisivo alla diffusione della “mode” dantesca sia tra gli intellettuali romantici che presso l’opinione pubblica d’oltralpe. Nella capitale francese si occuparono di Dante, tra gli altri, Giosafatte Biagioli, Alessandro Poerio, i compilatori de “L’Esule”, Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli e Niccolò Tommaseo il quale ravvisò nella separazione del potere politico da quello spirituale l’idea più significativa ed originale del pensiero di Dante. Giudizio che sarà condiviso anche da Gioberti secondo cui il Poeta era stato veggente nell’aver individuato in un vasto processo di laicizzazione e moralizzazione delle istituzioni l’unico sentiero percorribile per il riscatto dello Stato e della nazione italiana.[...]I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.