All’indomani della fine della prima guerra mondiale la Germania affronta il problema della formulazione di una nuova dottrina dello Stato caratterizzata dalla non riproducibilità del passato modello giuridico-istituzionale, ma anche e soprattutto influenzata dalle trasformazioni avvenute ed in atto nell’assetto sociale, nonché dall’affermarsi di una rinnovata dialettica politica con la quale il dibattito teorico deve confrontarsi. Occorre chiarire e distinguere gli elementi di continuità e di rottura intercorrenti tra la nascente repubblica di Weimar ed il trascorso periodo imperiale, all’interno di un processo di trasformazione che, proprio in ragione dell’ambiguo rapporto tra la fase attuale e quella precedente, stenta a connotarsi in una specifica identità. Weimar è letta più come un mutamento costituzionale che come una rivoluzione ed il suo modello istituzionale risulta ancora inficiato da alcuni dei nodi cruciali del precedente periodo, quali ad esempio quello della questione prussiana o della struttura federale dello Stato. Il dato che, seppure letto da differenti prospettive, sembra assodato da larga parte di giuristi e politologi è quello dell’esaurirsi della forma classica della sovranità dello Stato liberale e della difficoltà di individuare nuove espressioni che possano prenderne il posto. Le radicali trasformazioni sociali, specificatamente in campo economico, nonché la nuova configurazione dei centri di potere politico conseguente alla guerra, impongono di ripensare i luoghi e le modalità di esercizio della sovranità statale. I centri economici si caratterizzano sempre più come centri di potere politico che premono sullo Stato, così come masse sempre più ampie di lavoratori acquistano consapevolezza della propria forza e della propria identità di classe e rivendicano il diritto di parola nella determinazione delle politiche statali in materia economica ed anche sociale. In questa prospettiva risulta significativa l’attenzione dedicata al tema del pluralismo dei partiti politici, con la necessità di conciliare il loro antagonismo, la differenza dei segmenti di popolazione in essi rappresentati e le diverse finalità perseguite, con il mantenimento dell’unità dello Stato e l’esercizio di una funzione di governo coerente e continuativa. La nuova forma politica della democrazia appare dunque oscillare in perenne difficoltà tra l’esigenza di integrazione politico-istituzionale da un lato e la persistenza del pluralismo dall’altro; due poli dialettici riconducibili sia alla evidente necessità di garantire unitarietà e coerenza all’espressione della volontà politica dello Stato, e sia all’altrettanto legittima condizione pluralista di soggetti, istanze e bisogni diversi e talvolta antagonisti, coagulati in differenti formazioni politiche.
La democrazia tra integrazione e pluralismo. Modelli politici a confronto nell'epopea weimariana
CASERTA, Marco
2016-01-01
Abstract
All’indomani della fine della prima guerra mondiale la Germania affronta il problema della formulazione di una nuova dottrina dello Stato caratterizzata dalla non riproducibilità del passato modello giuridico-istituzionale, ma anche e soprattutto influenzata dalle trasformazioni avvenute ed in atto nell’assetto sociale, nonché dall’affermarsi di una rinnovata dialettica politica con la quale il dibattito teorico deve confrontarsi. Occorre chiarire e distinguere gli elementi di continuità e di rottura intercorrenti tra la nascente repubblica di Weimar ed il trascorso periodo imperiale, all’interno di un processo di trasformazione che, proprio in ragione dell’ambiguo rapporto tra la fase attuale e quella precedente, stenta a connotarsi in una specifica identità. Weimar è letta più come un mutamento costituzionale che come una rivoluzione ed il suo modello istituzionale risulta ancora inficiato da alcuni dei nodi cruciali del precedente periodo, quali ad esempio quello della questione prussiana o della struttura federale dello Stato. Il dato che, seppure letto da differenti prospettive, sembra assodato da larga parte di giuristi e politologi è quello dell’esaurirsi della forma classica della sovranità dello Stato liberale e della difficoltà di individuare nuove espressioni che possano prenderne il posto. Le radicali trasformazioni sociali, specificatamente in campo economico, nonché la nuova configurazione dei centri di potere politico conseguente alla guerra, impongono di ripensare i luoghi e le modalità di esercizio della sovranità statale. I centri economici si caratterizzano sempre più come centri di potere politico che premono sullo Stato, così come masse sempre più ampie di lavoratori acquistano consapevolezza della propria forza e della propria identità di classe e rivendicano il diritto di parola nella determinazione delle politiche statali in materia economica ed anche sociale. In questa prospettiva risulta significativa l’attenzione dedicata al tema del pluralismo dei partiti politici, con la necessità di conciliare il loro antagonismo, la differenza dei segmenti di popolazione in essi rappresentati e le diverse finalità perseguite, con il mantenimento dell’unità dello Stato e l’esercizio di una funzione di governo coerente e continuativa. La nuova forma politica della democrazia appare dunque oscillare in perenne difficoltà tra l’esigenza di integrazione politico-istituzionale da un lato e la persistenza del pluralismo dall’altro; due poli dialettici riconducibili sia alla evidente necessità di garantire unitarietà e coerenza all’espressione della volontà politica dello Stato, e sia all’altrettanto legittima condizione pluralista di soggetti, istanze e bisogni diversi e talvolta antagonisti, coagulati in differenti formazioni politiche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.