Nonostante la scarsa attenzione critica dedicata al repertorio radiofonico di Samuel Beckett, è impossibile non riconoscere al drammaturgo una spiccata radiogenia. Oltre al fatto che quasi tutta la sua opera è fondamentalmente imbastita come un flusso interiore, a una o più voci, sono soprattutto i suoi personaggi a dimostrare una così profonda qualità radiofonica. Le figure di Beckett hanno una consistenza eminentemente vocale, si identificano con le proprie voci e con quelle del proprio inconscio o passato, che proiettano all’esterno facendole interagire drammaticamente tra loro, come sul palcoscenico di un’allucinazione mentale. In radio le voci disincarnate ma elettricamente materializzate hanno però il vantaggio di far esperire direttamente l’incantesimo di un linguaggio sonoramente modulato e di esplorarne la dimensione pre-logica e pre-referenziale. ‘My work is a matter of fundamental sounds’ avrebbe affermato Beckett subito dopo la produzione di “Embers” (1959), la sua seconda opera radiofonica, e di fatto la parola come puro suono appare l’ideale punto di arrivo dell’autore alle prese con le tecnologie uditive. Corpi vocali non soggetti ai riflettori dell’occhio, né allo scrutinio della ragione, materie ineffabili che senza spiegare potrebbero ‘rivelare’, e che chiedono all’ascoltatore di lasciarsi semplicemente risucchiare nel buio della scatola (cranica) da cui provengono. Non meraviglia che l’autore ne abbia fatto uno strumento potente per scandagliare uno dei regni invisibili da lui più esplorati: gli insondabili abissi della memoria. Dopo l’opera teatrale “Krapp’s Last Tape” (1958), in cui un registratore incaricato di fissare per sempre su nastro le memorie di un vecchio scrittore si rivela incapace di rimandare all’uomo l’essenza emotiva, quasi corporea del ricordo, “Embers” e “Rough for Radio II” (1961) appaiono mirabilmente concentrati sul flusso memoriale dei protagonisti/scrittori che lottano per recuperare dalle profondità del loro inconscio le voci/tracce di un passato utili a ricomporre storie che non hanno mai terminato. Qui passato e inconscio arrivano a fondersi completamente mentre una lotta tenace tra memoria e oblio divampa nel teatro della mente dei protagonisti.

Mnemo-tecnologie beckettiane: "Krapp’s Last Tape", "Embers", "Rough for Radio II”

ESPOSITO, Lucia
2009-01-01

Abstract

Nonostante la scarsa attenzione critica dedicata al repertorio radiofonico di Samuel Beckett, è impossibile non riconoscere al drammaturgo una spiccata radiogenia. Oltre al fatto che quasi tutta la sua opera è fondamentalmente imbastita come un flusso interiore, a una o più voci, sono soprattutto i suoi personaggi a dimostrare una così profonda qualità radiofonica. Le figure di Beckett hanno una consistenza eminentemente vocale, si identificano con le proprie voci e con quelle del proprio inconscio o passato, che proiettano all’esterno facendole interagire drammaticamente tra loro, come sul palcoscenico di un’allucinazione mentale. In radio le voci disincarnate ma elettricamente materializzate hanno però il vantaggio di far esperire direttamente l’incantesimo di un linguaggio sonoramente modulato e di esplorarne la dimensione pre-logica e pre-referenziale. ‘My work is a matter of fundamental sounds’ avrebbe affermato Beckett subito dopo la produzione di “Embers” (1959), la sua seconda opera radiofonica, e di fatto la parola come puro suono appare l’ideale punto di arrivo dell’autore alle prese con le tecnologie uditive. Corpi vocali non soggetti ai riflettori dell’occhio, né allo scrutinio della ragione, materie ineffabili che senza spiegare potrebbero ‘rivelare’, e che chiedono all’ascoltatore di lasciarsi semplicemente risucchiare nel buio della scatola (cranica) da cui provengono. Non meraviglia che l’autore ne abbia fatto uno strumento potente per scandagliare uno dei regni invisibili da lui più esplorati: gli insondabili abissi della memoria. Dopo l’opera teatrale “Krapp’s Last Tape” (1958), in cui un registratore incaricato di fissare per sempre su nastro le memorie di un vecchio scrittore si rivela incapace di rimandare all’uomo l’essenza emotiva, quasi corporea del ricordo, “Embers” e “Rough for Radio II” (1961) appaiono mirabilmente concentrati sul flusso memoriale dei protagonisti/scrittori che lottano per recuperare dalle profondità del loro inconscio le voci/tracce di un passato utili a ricomporre storie che non hanno mai terminato. Qui passato e inconscio arrivano a fondersi completamente mentre una lotta tenace tra memoria e oblio divampa nel teatro della mente dei protagonisti.
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