Il contributo si inserisce nell’ambito di un’opera collettanea – curata dai prof. Di Giovine e Mastromarino dell’Università di Torino – volta ad indagare il vasto e complesso fenomeno della presidenzializzazione degli esecutivi nell’ambito delle forme di governo contemporanee.Come noto, nella maggior parte dei Paesi a democrazia avanzata, i sistemi di governo sia di tipo parlamentare che presidenziale tende a funzionare sempre più come democrazia d’investitura, valorizzando al massimo l’intervento popolare.Nell’ambito di tale schema generale, il contributo curato dalla sottoscritta ha analizzato le tendenze evolutive della forma di governo argentina la quale, sotto lo specifico profilo indagato, offre un modello di sicuro interesse scientifico sia per ciò che concerne le contaminazioni di altri sistemi di governo (in particolare quello di tipo presidenziale), sia per l’influenza notevole esercitata dal peculiare retroterra storico-politico. Difatti, se, per un verso, il formante di riferimento sembra potersi individuare – sul piano più propriamente tecnico – nel sistema nordamericano, per altro verso, la storia del Paese sembra aver giocato un ruolo determinante nell’imbastardimento della forma di governo, consegnando spesso al leader maximo di turno un potere personale solo in parte sfiorato dalle tecniche del costituzionalismo e molto impregnato di cesarismo corrivo.La tesi appena richiamata sembra conservare la sua validità anche se riferita al periodo successivo alla significativa riforma costituzionale del 1994, fortemente voluta dal Presidente Carlos Menem e in parte giustificata sulla base dell’opportunità di addivenire ad un nuovo assetto di poteri in grado di indebolire la forte caratterizzazione “cesarista” della forma di governo delineata nella Carta costituzionale del 1853. Ma a tal riguardo, non può non evidenziarsi come il profilo della riforma costituzionale come sistema di regole superiori ridefinite ai fini del corretto e funzionale articolarsi della vita politica sia apparso decisamente recessivo rispetto al profilo della riforma intesa quale sistemazione negoziale delle relazioni tra istanze contrapposte. Sicché, i principali elementi di riforma introdotti in merito al funzionamento della forma di governo hanno riflettuto la componente conflittuale della logica compromissoria: pur partendo da un condiviso terreno di concertazione politica, le linee applicative della forma di governo hanno rappresentato, in sede di riforma, il terreno elettivo del conflitto politico, ponendo una pesante ipoteca sulla funzionalità del sistema.Il primo dato che emerge, in sede di valutazione complessiva della funzionalità dell’assetto di governo, è quello di una sistema “iper-razionalizzato” che combina insieme elementi appartenenti a modelli diversi, solo in minima parte riconducibili al sistema presidenziale, attesa la previsione di un rapporto di fiducia tra esecutivo e legislativo e i rilevanti poteri di intervento riconosciuti al Presidente nei riguardi del Congresso. I fattori di “contesto” esterni hanno poi finito con il condizionare fortemente l’azione di governo e, soprattutto, a rafforzare notevolmente il processo di centralizzazione della figura presidenziale nell’attivazione dell’indirizzo politico. Tali fattori possono individuarsi nelle forti inclinazioni “caudilliste” dei leaders politici, nella crisi economica-finanziaria che ha investito per lungo tempo il Paese e, non da ultimo, nella crisi endemica del sistema partitico. Questi aspetti, nel loro insieme, hanno influenzato profondamente l’esito della riforma del 1994, soprattutto su uno dei piani più rilevanti del quadro costituzionale, quello cioè della forma di governo. Il comportamento della leadership sembra, dunque, riflettere e perseguire un sensibile dista[...]

Recenti tendenze evolutive nella forma di governo argentina: dal semipresidenzialismo apparente alla presidenzializzazione dell'esecutivo

SCIANNELLA, Lucia Giuditta
2008-01-01

Abstract

Il contributo si inserisce nell’ambito di un’opera collettanea – curata dai prof. Di Giovine e Mastromarino dell’Università di Torino – volta ad indagare il vasto e complesso fenomeno della presidenzializzazione degli esecutivi nell’ambito delle forme di governo contemporanee.Come noto, nella maggior parte dei Paesi a democrazia avanzata, i sistemi di governo sia di tipo parlamentare che presidenziale tende a funzionare sempre più come democrazia d’investitura, valorizzando al massimo l’intervento popolare.Nell’ambito di tale schema generale, il contributo curato dalla sottoscritta ha analizzato le tendenze evolutive della forma di governo argentina la quale, sotto lo specifico profilo indagato, offre un modello di sicuro interesse scientifico sia per ciò che concerne le contaminazioni di altri sistemi di governo (in particolare quello di tipo presidenziale), sia per l’influenza notevole esercitata dal peculiare retroterra storico-politico. Difatti, se, per un verso, il formante di riferimento sembra potersi individuare – sul piano più propriamente tecnico – nel sistema nordamericano, per altro verso, la storia del Paese sembra aver giocato un ruolo determinante nell’imbastardimento della forma di governo, consegnando spesso al leader maximo di turno un potere personale solo in parte sfiorato dalle tecniche del costituzionalismo e molto impregnato di cesarismo corrivo.La tesi appena richiamata sembra conservare la sua validità anche se riferita al periodo successivo alla significativa riforma costituzionale del 1994, fortemente voluta dal Presidente Carlos Menem e in parte giustificata sulla base dell’opportunità di addivenire ad un nuovo assetto di poteri in grado di indebolire la forte caratterizzazione “cesarista” della forma di governo delineata nella Carta costituzionale del 1853. Ma a tal riguardo, non può non evidenziarsi come il profilo della riforma costituzionale come sistema di regole superiori ridefinite ai fini del corretto e funzionale articolarsi della vita politica sia apparso decisamente recessivo rispetto al profilo della riforma intesa quale sistemazione negoziale delle relazioni tra istanze contrapposte. Sicché, i principali elementi di riforma introdotti in merito al funzionamento della forma di governo hanno riflettuto la componente conflittuale della logica compromissoria: pur partendo da un condiviso terreno di concertazione politica, le linee applicative della forma di governo hanno rappresentato, in sede di riforma, il terreno elettivo del conflitto politico, ponendo una pesante ipoteca sulla funzionalità del sistema.Il primo dato che emerge, in sede di valutazione complessiva della funzionalità dell’assetto di governo, è quello di una sistema “iper-razionalizzato” che combina insieme elementi appartenenti a modelli diversi, solo in minima parte riconducibili al sistema presidenziale, attesa la previsione di un rapporto di fiducia tra esecutivo e legislativo e i rilevanti poteri di intervento riconosciuti al Presidente nei riguardi del Congresso. I fattori di “contesto” esterni hanno poi finito con il condizionare fortemente l’azione di governo e, soprattutto, a rafforzare notevolmente il processo di centralizzazione della figura presidenziale nell’attivazione dell’indirizzo politico. Tali fattori possono individuarsi nelle forti inclinazioni “caudilliste” dei leaders politici, nella crisi economica-finanziaria che ha investito per lungo tempo il Paese e, non da ultimo, nella crisi endemica del sistema partitico. Questi aspetti, nel loro insieme, hanno influenzato profondamente l’esito della riforma del 1994, soprattutto su uno dei piani più rilevanti del quadro costituzionale, quello cioè della forma di governo. Il comportamento della leadership sembra, dunque, riflettere e perseguire un sensibile dista[...]
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