La città di New York viene rappresentata, tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, come oggetto e al tempo stesso soggetto attivo di un’attrazione fatale che porta con sé l’idea di eccesso, corruzione e distruzione. Obiettivo e destinazione di flussi migratori – anche interni – nei primi decenni del Novecento, la “grande mela” ha i caratteri di un sogno utopico che però, costringendo i suoi abitanti vecchi e nuovi a dover fare i conti con l’altro, con la diversità sociale, culturale, economica e razziale, può facilmente cedere il passo al suo contraltare distopico della “grande mela” bacata, crogiolo di conflitti e contraddizioni. La convinzione che New York potesse restare estranea a tutto quanto vi sia di tremendo, e in particolare alla guerra, è stata una costante nella storia della città, che ha sempre relegato nella fantascienza le rappresentazioni della propria vulnerabilità. Basti pensare alla visione apocalittica e incredibilmente attuale di Manhattan invasa dalle fiamme e da minacciose nubi scure in “The War in the Air” (1908) di H. G. Wells. Ma la visione profetica di Wells, diventata realtà per molte città e molte nazioni d’Europa durante il secondo conflitto mondiale, si è trasformata l’11 settembre 2001 da tremenda anticipazione futuristica e fantascientifica in orribile realizzazione di una sorta di lotta primordiale tra gli schieramenti delle forze del Bene e del Male, che si contendono il controllo della seducente, potente, città imperiale di New York e del mondo capitalistico che essa incarna. Il suo skyline di acciaio e vetro, infatti, tipica espressione della società dei consumi dopo l’architettura neogotica che ha dominato la città all’inizio del Novecento, perde simbolicamente il profilo delle torri – icona del potere economico – che dal 1976 hanno dominato Manhattan.

Fascino e corruzione della Grande Mela

RUGGIERO, ALESSANDRA
2007-01-01

Abstract

La città di New York viene rappresentata, tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, come oggetto e al tempo stesso soggetto attivo di un’attrazione fatale che porta con sé l’idea di eccesso, corruzione e distruzione. Obiettivo e destinazione di flussi migratori – anche interni – nei primi decenni del Novecento, la “grande mela” ha i caratteri di un sogno utopico che però, costringendo i suoi abitanti vecchi e nuovi a dover fare i conti con l’altro, con la diversità sociale, culturale, economica e razziale, può facilmente cedere il passo al suo contraltare distopico della “grande mela” bacata, crogiolo di conflitti e contraddizioni. La convinzione che New York potesse restare estranea a tutto quanto vi sia di tremendo, e in particolare alla guerra, è stata una costante nella storia della città, che ha sempre relegato nella fantascienza le rappresentazioni della propria vulnerabilità. Basti pensare alla visione apocalittica e incredibilmente attuale di Manhattan invasa dalle fiamme e da minacciose nubi scure in “The War in the Air” (1908) di H. G. Wells. Ma la visione profetica di Wells, diventata realtà per molte città e molte nazioni d’Europa durante il secondo conflitto mondiale, si è trasformata l’11 settembre 2001 da tremenda anticipazione futuristica e fantascientifica in orribile realizzazione di una sorta di lotta primordiale tra gli schieramenti delle forze del Bene e del Male, che si contendono il controllo della seducente, potente, città imperiale di New York e del mondo capitalistico che essa incarna. Il suo skyline di acciaio e vetro, infatti, tipica espressione della società dei consumi dopo l’architettura neogotica che ha dominato la città all’inizio del Novecento, perde simbolicamente il profilo delle torri – icona del potere economico – che dal 1976 hanno dominato Manhattan.
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