Il cambiamento che il nostro Paese sta attraversando, all’interno delle trasformazioni geoeconomiche internazionali, chiede un impegno di ampio respiro per cercare di prefigurare quale Italia del futuro vogliamo costruire, dopo un lungo periodo nel quale le fasi della modernizzazione e la forza produttiva di tutto il mondo industrializzato sono state contraddistinte da un sentiero che può essere descritto da tre paradigmi fondamentali: il primo riguarda il capitalismo liberale, avviato dalla rivoluzione industriale; il secondo può individuarsi nel fordismo; il terzo corrisponde al capitalismo comunicativo dei giorni nostri. Appare, oggi, pleonastico ricordare la natura strutturale delle nostre difficoltà: l’invecchiamento della popolazione (con la conseguente minore spinta a fare impresa e con un maggiore peso per le pensioni); le ridotte dimensioni delle nostre imprese che non consentono di sfruttare al meglio la tecnologia dell’informazione e della comunicazione; un modello produttivo che si basa soprattutto su beni tradizionali ed una forte carenza di infrastrutture materiali. Per non parlare, poi, dell’arretratezza delle infrastrutture immateriali che va dal sistema educativo, di formazione e di ricerca, all’eccessiva lunghezza dei processi civili ed ai complessi procedimenti della Pubblica Amministrazione. Sono queste le dimensioni sulle quali si deve intervenire tempestivamente se si vuole evitare un vero e proprio declino. Ma c’è un’altra dimensione di valore che deve occupare, a nostro avviso, un posto fondamentale nel disegno del nuovo assetto economico e sociale del Paese: è l’idea di assegnare centralità ai grandi agglomerati urbani, dato che la crescita delle attività socioeconomiche si gioverà sempre più dei moderni servizi che trovano nelle città e nei centri metropolitani il loro habitat naturale. Non bastano più i distretti e le numerose piccole imprese se questi non sono innervati da funzioni metropolitane che partono dalle città come reti di finanza, logistica, conoscenza. In definitiva è il tessuto urbano quello che assicura lo sviluppo del futuro e la competitività. Le città attraggono imprese come attraggono turisti, uomini d’affari, intellettuali, in modo tale da formare una comunità articolata dove è più facile creare situazioni favorevoli alla crescita imprenditoriale. La presente ricerca si colloca in questo percorso volto ad identificare le grandi città del nostro Paese non solo come spazi a forte densità demografica, ma anche e soprattutto come moderne piattaforme produttive e tecnologiche del nostro capitalismo di territorio. In sintesi non solo Metropoli, ma anche Tecnopoli. Il successo dipenderà dal come queste città italiane riusciranno a portare i loro territori nel mondo. Aggiungiamo che, data la vastità delle informazioni statistiche disponibili, sia alcuni risultati, sia il relativo commento sono presentati a “maglia larga” e senza riportare la completa documentazione di base, comunque, a disposizione presso gli archivi dell’Eurostat; tutto ciò con lo scopo di al-leggerire al massimo la lettura, senza arrecare però alcun danno per la comprensione generale.[...]
Tecnopoli. L’articolazione territoriale della competitività in Italia
DEL COLLE, Enrico
2006-01-01
Abstract
Il cambiamento che il nostro Paese sta attraversando, all’interno delle trasformazioni geoeconomiche internazionali, chiede un impegno di ampio respiro per cercare di prefigurare quale Italia del futuro vogliamo costruire, dopo un lungo periodo nel quale le fasi della modernizzazione e la forza produttiva di tutto il mondo industrializzato sono state contraddistinte da un sentiero che può essere descritto da tre paradigmi fondamentali: il primo riguarda il capitalismo liberale, avviato dalla rivoluzione industriale; il secondo può individuarsi nel fordismo; il terzo corrisponde al capitalismo comunicativo dei giorni nostri. Appare, oggi, pleonastico ricordare la natura strutturale delle nostre difficoltà: l’invecchiamento della popolazione (con la conseguente minore spinta a fare impresa e con un maggiore peso per le pensioni); le ridotte dimensioni delle nostre imprese che non consentono di sfruttare al meglio la tecnologia dell’informazione e della comunicazione; un modello produttivo che si basa soprattutto su beni tradizionali ed una forte carenza di infrastrutture materiali. Per non parlare, poi, dell’arretratezza delle infrastrutture immateriali che va dal sistema educativo, di formazione e di ricerca, all’eccessiva lunghezza dei processi civili ed ai complessi procedimenti della Pubblica Amministrazione. Sono queste le dimensioni sulle quali si deve intervenire tempestivamente se si vuole evitare un vero e proprio declino. Ma c’è un’altra dimensione di valore che deve occupare, a nostro avviso, un posto fondamentale nel disegno del nuovo assetto economico e sociale del Paese: è l’idea di assegnare centralità ai grandi agglomerati urbani, dato che la crescita delle attività socioeconomiche si gioverà sempre più dei moderni servizi che trovano nelle città e nei centri metropolitani il loro habitat naturale. Non bastano più i distretti e le numerose piccole imprese se questi non sono innervati da funzioni metropolitane che partono dalle città come reti di finanza, logistica, conoscenza. In definitiva è il tessuto urbano quello che assicura lo sviluppo del futuro e la competitività. Le città attraggono imprese come attraggono turisti, uomini d’affari, intellettuali, in modo tale da formare una comunità articolata dove è più facile creare situazioni favorevoli alla crescita imprenditoriale. La presente ricerca si colloca in questo percorso volto ad identificare le grandi città del nostro Paese non solo come spazi a forte densità demografica, ma anche e soprattutto come moderne piattaforme produttive e tecnologiche del nostro capitalismo di territorio. In sintesi non solo Metropoli, ma anche Tecnopoli. Il successo dipenderà dal come queste città italiane riusciranno a portare i loro territori nel mondo. Aggiungiamo che, data la vastità delle informazioni statistiche disponibili, sia alcuni risultati, sia il relativo commento sono presentati a “maglia larga” e senza riportare la completa documentazione di base, comunque, a disposizione presso gli archivi dell’Eurostat; tutto ciò con lo scopo di al-leggerire al massimo la lettura, senza arrecare però alcun danno per la comprensione generale.[...]I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.