Scopo del presente contributo è riesaminare l’azione politica di Ferrante Gonzaga nei riguardi dell’attività dei due tribunali inquisitoriali con cui ebbe a misurarsi, in quanto vicerè di Sicilia, prima, e governatore di Milano poi: l’Inquisizione spagnola e quella romana. Non si pretende di analizzare i sentimenti o i convincimenti religiosi dell’aristocratico, sui quali, allo stato dei documenti, si conosce poco o nulla, ma le sue azioni e i suoi atteggiamenti verso uno dei maggiori problemi politico-religiosi del tempo: la repressione dell’eresia. Punto di partenza è la considerazione - ovvia, ma essenziale - che la figura di Ferrante s’inserisce nel complesso contesto politico-religioso della prima metà del Cinquecento, contrassegnato dalla ricerca dell’imperatore Carlo V di un difficile equilibrio fra istanze contrastanti, la più evidente delle quali era l’insanabile contrasto fra le pretese universalistiche della corona imperiale e gli effetti dirompenti della Riforma protestante sugli equilibri politici e sociali, oltre che religiosi, dell’area germanica.Durante il suo governo della Sicilia (1535-46) Ferrante cercò in un primo momento di depotenziare l'azione inquisitoriale appoggiando le istanze dei vertici della società siciliana. Allorché però furono accusati di luteranesimo esponenti del ceto togato, optò per una delega della repressione dell’eresia al tribunale della fede, subordinato alle direttive della corona che si doveva riservare la facoltà d’intervenire in tutti i casi in cui lo avesse ritenuto necessario. Tanto più quando si fossero trovati implicati personaggi socialmente altolocati.Nel caso milanese l’esigenza di contemperare la repressione dell’eresia e le priorità della politica imperiale in un’area ancora politicamente instabile, oggetto di contesa militare con la Francia, spinse il Gonzaga a dare la priorità agli interessi politici di Carlo V e alla riaffermazione della sua autorità. Anche quando ciò finiva per cozzare con la politica repressiva del tribunale inquisitoriale, il quale puntava a liberarsi da ogni forma di tutela o sorveglianza, più o meno formale, delle autorità laiche.[...]

La repressione dell'eresia nell'Italia di Carlo V: note su Ferrante Gonzaga e le Inquisizioni

GIANNINI, Massimo Carlo
2010-01-01

Abstract

Scopo del presente contributo è riesaminare l’azione politica di Ferrante Gonzaga nei riguardi dell’attività dei due tribunali inquisitoriali con cui ebbe a misurarsi, in quanto vicerè di Sicilia, prima, e governatore di Milano poi: l’Inquisizione spagnola e quella romana. Non si pretende di analizzare i sentimenti o i convincimenti religiosi dell’aristocratico, sui quali, allo stato dei documenti, si conosce poco o nulla, ma le sue azioni e i suoi atteggiamenti verso uno dei maggiori problemi politico-religiosi del tempo: la repressione dell’eresia. Punto di partenza è la considerazione - ovvia, ma essenziale - che la figura di Ferrante s’inserisce nel complesso contesto politico-religioso della prima metà del Cinquecento, contrassegnato dalla ricerca dell’imperatore Carlo V di un difficile equilibrio fra istanze contrastanti, la più evidente delle quali era l’insanabile contrasto fra le pretese universalistiche della corona imperiale e gli effetti dirompenti della Riforma protestante sugli equilibri politici e sociali, oltre che religiosi, dell’area germanica.Durante il suo governo della Sicilia (1535-46) Ferrante cercò in un primo momento di depotenziare l'azione inquisitoriale appoggiando le istanze dei vertici della società siciliana. Allorché però furono accusati di luteranesimo esponenti del ceto togato, optò per una delega della repressione dell’eresia al tribunale della fede, subordinato alle direttive della corona che si doveva riservare la facoltà d’intervenire in tutti i casi in cui lo avesse ritenuto necessario. Tanto più quando si fossero trovati implicati personaggi socialmente altolocati.Nel caso milanese l’esigenza di contemperare la repressione dell’eresia e le priorità della politica imperiale in un’area ancora politicamente instabile, oggetto di contesa militare con la Francia, spinse il Gonzaga a dare la priorità agli interessi politici di Carlo V e alla riaffermazione della sua autorità. Anche quando ciò finiva per cozzare con la politica repressiva del tribunale inquisitoriale, il quale puntava a liberarsi da ogni forma di tutela o sorveglianza, più o meno formale, delle autorità laiche.[...]
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