Lo scritto prende in esame il tema del ricorso al trust “in funzione successoria”, vale a dire per perseguire finalità per certi versi analoghe a quelle realizzabili con l’impiego del testamento e, altresì, finalità ulteriori, non conseguibili impiegando quest’ultimo strumento.Si osserva come, grazie al trust, sia possibile programmare la trasmissione e la gestione di complessi patrimoniali, garantendo la conservazione della destinazione economica loro impressa e tenendo conto sia della qualità e dei bisogni dei soggetti beneficiari, sia della natura e della funzione dei beni destinati. Per chiarire se ed in quale misura i privati siano in grado di realizzare simili finalità, si è avuto riguardo alle norme imperative interne in materia di successioni mortis causa, prima tra tutte quella contenente il divieto di patti successori istitutivi. L’indagine ha permesso di concludere che il trust non incorre nel divieto di cui si tratta per via della struttura e degli effetti suoi propri.Inoltre, si è constatato che il trust non urta nemmeno con il divieto di sostituzione fedecommissaria di cui agli artt. 697, 692 e 795 cod. civ.Ed invero, nonostante le apparenti somiglianze tra il fedecommesso ed il trust, in quest’ultimo mancano gli elementi connotanti la sostituzione fedecommissaria, poiché i beneficiari del trust vantano soltanto un diritto relativo verso il trustee, il quale non può godere dei beni, ma può disporne. Non ricorre quindi la ratio del divieto di cui si tratta, ravvisabile nel far sì che il bene oggetto di fedecommesso non resti escluso dal commercio per un tempo troppo lungo. Oltre alle differenze circa la struttura e gli effetti, l’indagine ha posto in rilievo le divergenze esistenti sotto il profilo funzionale, poiché il trust permette di realizzare funzioni ulteriori, non conseguibili usando l’istituto di diritto interno, tenuto conto degli angusti limiti soggettivi entro cui è consentito all’autonomia privata il ricorso al fedecommesso. Infine, è stato osservato che l’esplicita salvezza dei limiti posti dalla disciplina della successione necessaria a tutela dei legittimari comporta la soggezione del trust lesivo della legittima all’esercizio dell’azione di riduzione.L’atto istitutivo di un trust lesivo della legittima contenuto in un testamento è quindi valido, ma riducibile. Analoga conclusione si applica al trust istituito con atto tra vivi che abbia natura di liberalità indiretta. Legittimato passivamente è il trustee, ancorché faccia difetto, in capo a costui, il requisito dell’arricchimento ravvisabile invece rispetto al beneficiario.[...]
Successione mortis causa, pactum fiduciae e trust
MONTINARO, Roberta
2009-01-01
Abstract
Lo scritto prende in esame il tema del ricorso al trust “in funzione successoria”, vale a dire per perseguire finalità per certi versi analoghe a quelle realizzabili con l’impiego del testamento e, altresì, finalità ulteriori, non conseguibili impiegando quest’ultimo strumento.Si osserva come, grazie al trust, sia possibile programmare la trasmissione e la gestione di complessi patrimoniali, garantendo la conservazione della destinazione economica loro impressa e tenendo conto sia della qualità e dei bisogni dei soggetti beneficiari, sia della natura e della funzione dei beni destinati. Per chiarire se ed in quale misura i privati siano in grado di realizzare simili finalità, si è avuto riguardo alle norme imperative interne in materia di successioni mortis causa, prima tra tutte quella contenente il divieto di patti successori istitutivi. L’indagine ha permesso di concludere che il trust non incorre nel divieto di cui si tratta per via della struttura e degli effetti suoi propri.Inoltre, si è constatato che il trust non urta nemmeno con il divieto di sostituzione fedecommissaria di cui agli artt. 697, 692 e 795 cod. civ.Ed invero, nonostante le apparenti somiglianze tra il fedecommesso ed il trust, in quest’ultimo mancano gli elementi connotanti la sostituzione fedecommissaria, poiché i beneficiari del trust vantano soltanto un diritto relativo verso il trustee, il quale non può godere dei beni, ma può disporne. Non ricorre quindi la ratio del divieto di cui si tratta, ravvisabile nel far sì che il bene oggetto di fedecommesso non resti escluso dal commercio per un tempo troppo lungo. Oltre alle differenze circa la struttura e gli effetti, l’indagine ha posto in rilievo le divergenze esistenti sotto il profilo funzionale, poiché il trust permette di realizzare funzioni ulteriori, non conseguibili usando l’istituto di diritto interno, tenuto conto degli angusti limiti soggettivi entro cui è consentito all’autonomia privata il ricorso al fedecommesso. Infine, è stato osservato che l’esplicita salvezza dei limiti posti dalla disciplina della successione necessaria a tutela dei legittimari comporta la soggezione del trust lesivo della legittima all’esercizio dell’azione di riduzione.L’atto istitutivo di un trust lesivo della legittima contenuto in un testamento è quindi valido, ma riducibile. Analoga conclusione si applica al trust istituito con atto tra vivi che abbia natura di liberalità indiretta. Legittimato passivamente è il trustee, ancorché faccia difetto, in capo a costui, il requisito dell’arricchimento ravvisabile invece rispetto al beneficiario.[...]I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.