Nei conflitti contemporanei i tradizionali confini tra guerra e pace appaiono sempre più sfumati. La causa di tale mutamento è rintracciabile nell’ampio set di strumenti a disposizione degli attori belligeranti – statali e non – impiegabili all’interno della stessa strategia militare. A quelli convenzionali se ne sommano di nuovi, frutto del progresso tecnologico: quelli non convenzionali. Ne sono un esempio gli attacchi cibernetici, volti ad arrecare danni alle infrastrutture critiche di uno Stato bersaglio o le campagne di disinformazione, lanciate per minare la fiducia interna delle istituzioni governative o per tutelare gli interessi esteri della nazione attaccante. Nella categoria dei mezzi non convenzionali figurano, tra gli altri, anche le interferenze elettorali, la violazione dello spazio aereo e del territorio, le esercitazioni militari, la promozione di disordini sociali e lo sfruttamento delle lacune legali. A ciò si aggiunge che le azioni sopra menzionate, svolgendosi nella c.d. grey zone, risultano essere difficili sia da individuare e sia da attribuire ad un autore, complicando così una risposta da parte del diritto internazionale, risultando inapplicabili lo ius ad bellum e lo ius in bello. Tra i vari termini usati – in ambito politico e accademico – per descrivere la complessità del fenomeno quello che ha destato più interesse è “guerra ibrida”. Coniata nel 2007 dal teorico militare statunitense Hoffman per riferirsi a «una serie di diverse modalità di guerra, tra cui capacità convenzionali, tattiche e formazioni irregolari, atti terroristici che includono violenza indiscriminata, coercizione e disordini criminali», la “guerra ibrida” conosce il suo periodo di massima popolarità nel 2014, a seguito delle azioni aggressive della Russia in Crimea e nell’Ucraina orientale. La complessa combinazione di azioni portate avanti da Mosca – forze speciali negazioniste, milizie proxy, pressioni economiche, disinformazione e sfruttamento delle divisioni sociali – ha condotto NATO e Occidente a parlare di “guerra ibrida” per descrivere una simile strategia. Ciononostante, il termine – privo di una definizione universalmente accettata – continua ad alimentare dubbi e perplessità circa il suo corretto utilizzo. Obiettivo del presente contributo è quello di analizzare il modo in cui tale nuova tipologia di conflitto possa destabilizzare la tenuta e la stabilità degli ordinamenti statali e indagare le possibili risposte da parte di NATO, Unione europea e Stati.

La guerra ibrida e la sua minaccia alla pace

andrea spaziani
2025-01-01

Abstract

Nei conflitti contemporanei i tradizionali confini tra guerra e pace appaiono sempre più sfumati. La causa di tale mutamento è rintracciabile nell’ampio set di strumenti a disposizione degli attori belligeranti – statali e non – impiegabili all’interno della stessa strategia militare. A quelli convenzionali se ne sommano di nuovi, frutto del progresso tecnologico: quelli non convenzionali. Ne sono un esempio gli attacchi cibernetici, volti ad arrecare danni alle infrastrutture critiche di uno Stato bersaglio o le campagne di disinformazione, lanciate per minare la fiducia interna delle istituzioni governative o per tutelare gli interessi esteri della nazione attaccante. Nella categoria dei mezzi non convenzionali figurano, tra gli altri, anche le interferenze elettorali, la violazione dello spazio aereo e del territorio, le esercitazioni militari, la promozione di disordini sociali e lo sfruttamento delle lacune legali. A ciò si aggiunge che le azioni sopra menzionate, svolgendosi nella c.d. grey zone, risultano essere difficili sia da individuare e sia da attribuire ad un autore, complicando così una risposta da parte del diritto internazionale, risultando inapplicabili lo ius ad bellum e lo ius in bello. Tra i vari termini usati – in ambito politico e accademico – per descrivere la complessità del fenomeno quello che ha destato più interesse è “guerra ibrida”. Coniata nel 2007 dal teorico militare statunitense Hoffman per riferirsi a «una serie di diverse modalità di guerra, tra cui capacità convenzionali, tattiche e formazioni irregolari, atti terroristici che includono violenza indiscriminata, coercizione e disordini criminali», la “guerra ibrida” conosce il suo periodo di massima popolarità nel 2014, a seguito delle azioni aggressive della Russia in Crimea e nell’Ucraina orientale. La complessa combinazione di azioni portate avanti da Mosca – forze speciali negazioniste, milizie proxy, pressioni economiche, disinformazione e sfruttamento delle divisioni sociali – ha condotto NATO e Occidente a parlare di “guerra ibrida” per descrivere una simile strategia. Ciononostante, il termine – privo di una definizione universalmente accettata – continua ad alimentare dubbi e perplessità circa il suo corretto utilizzo. Obiettivo del presente contributo è quello di analizzare il modo in cui tale nuova tipologia di conflitto possa destabilizzare la tenuta e la stabilità degli ordinamenti statali e indagare le possibili risposte da parte di NATO, Unione europea e Stati.
2025
978-88-85431-90-4
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/166821
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact