The essay examines the "Esposizione Romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico" (i.e. Roman Exhibition of Works of Every Art Executed for Catholic Worship), inaugurated within the Carthusian complex of Santa Maria degli Angeli, in close connection with the First Vatican Council, on 17 February 1870. Promoted by Cardinal Giuseppe Berardi and designed by the architect Virginio Vespignani, the exhibition represented one of the final expressions of the Church’s temporal power, while simultaneously reflecting the tensions between tradition and modernity in late nineteenth-century sacred art. The essay reconstructs Vespignani’s ephemeral architectural project, based on a wooden and glass structure that respected the Michelangelesque context, and the exhibition route, articulated in three spatial nuclei. Through analysis of the contemporary catalogue, Coen explores the variety of objects displayed—from decorative arts to photography, from goldsmithery to mosaics—and their value as indicators of the state of the applied arts in Rome on the eve of the *Breccia di Porta Pia*. Alongside loans from the Monte di Pietà and noble Roman families, the exhibition showcased technological innovations by the D’Alessandri brothers in photography and by the Bruckmann publishing house in artistic reproduction, as well as the participation of Giovanni Battista de Rossi’s Pontifical Chromolithography and the Venetian glassworks of Salviati. The choice of the Certosa, motivated by both symbolic and urban considerations, reflected the papacy’s intention to align itself with the modern language of international exhibitions, presenting Rome as a spiritual centre and, at the same time, as a productive hub of contemporary sacred art.

L’articolo analizza la "Esposizione Romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico", inaugurata il 17 febbraio 1870 nel complesso della Certosa di Santa Maria degli Angeli, in stretta connessione con il Concilio Vaticano I. Promossa dal cardinale Giuseppe Berardi e allestita dall’architetto Virginio Vespignani, la mostra rappresentò una delle ultime manifestazioni del potere temporale della Chiesa, rivelando al contempo le tensioni tra tradizione e modernità nell’arte sacra di fine Ottocento. Il saggio ricostruisce il progetto architettonico effimero di Vespignani, basato su una struttura lignea e vetrata che rispettava il contesto michelangiolesco, e il percorso espositivo articolato in tre nuclei spaziali. Attraverso il catalogo dell’epoca, analizza la varietà delle opere — dalle arti decorative alla fotografia, dall’oreficeria ai mosaici — e il loro valore come indicatore dello stato delle arti applicate a Roma alla vigilia della Breccia di Porta Pia. Accanto ai prestiti del Monte di Pietà e delle famiglie nobili romane, emergono le innovazioni tecnologiche dei fratelli D’Alessandri nella fotografia e della casa editrice Bruckmann nella riproduzione artistica, così come la partecipazione della Cromo-litografia pontificia di Giovanni Battista de Rossi e della vetreria veneziana Salviati. La scelta della Certosa, motivata tanto da esigenze simboliche quanto urbanistiche, riflette la volontà del papato di inserirsi nel linguaggio moderno delle esposizioni internazionali, proponendo Roma come centro spirituale ma anche produttivo dell’arte sacra.

Qualche riflessione in margine a un reimpiego moderno della Certosa di Roma: la «Esposizione Romana» in Santa Maria degli Angeli del 1870

Paolo Coen
In corso di stampa

Abstract

The essay examines the "Esposizione Romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico" (i.e. Roman Exhibition of Works of Every Art Executed for Catholic Worship), inaugurated within the Carthusian complex of Santa Maria degli Angeli, in close connection with the First Vatican Council, on 17 February 1870. Promoted by Cardinal Giuseppe Berardi and designed by the architect Virginio Vespignani, the exhibition represented one of the final expressions of the Church’s temporal power, while simultaneously reflecting the tensions between tradition and modernity in late nineteenth-century sacred art. The essay reconstructs Vespignani’s ephemeral architectural project, based on a wooden and glass structure that respected the Michelangelesque context, and the exhibition route, articulated in three spatial nuclei. Through analysis of the contemporary catalogue, Coen explores the variety of objects displayed—from decorative arts to photography, from goldsmithery to mosaics—and their value as indicators of the state of the applied arts in Rome on the eve of the *Breccia di Porta Pia*. Alongside loans from the Monte di Pietà and noble Roman families, the exhibition showcased technological innovations by the D’Alessandri brothers in photography and by the Bruckmann publishing house in artistic reproduction, as well as the participation of Giovanni Battista de Rossi’s Pontifical Chromolithography and the Venetian glassworks of Salviati. The choice of the Certosa, motivated by both symbolic and urban considerations, reflected the papacy’s intention to align itself with the modern language of international exhibitions, presenting Rome as a spiritual centre and, at the same time, as a productive hub of contemporary sacred art.
In corso di stampa
L’articolo analizza la "Esposizione Romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico", inaugurata il 17 febbraio 1870 nel complesso della Certosa di Santa Maria degli Angeli, in stretta connessione con il Concilio Vaticano I. Promossa dal cardinale Giuseppe Berardi e allestita dall’architetto Virginio Vespignani, la mostra rappresentò una delle ultime manifestazioni del potere temporale della Chiesa, rivelando al contempo le tensioni tra tradizione e modernità nell’arte sacra di fine Ottocento. Il saggio ricostruisce il progetto architettonico effimero di Vespignani, basato su una struttura lignea e vetrata che rispettava il contesto michelangiolesco, e il percorso espositivo articolato in tre nuclei spaziali. Attraverso il catalogo dell’epoca, analizza la varietà delle opere — dalle arti decorative alla fotografia, dall’oreficeria ai mosaici — e il loro valore come indicatore dello stato delle arti applicate a Roma alla vigilia della Breccia di Porta Pia. Accanto ai prestiti del Monte di Pietà e delle famiglie nobili romane, emergono le innovazioni tecnologiche dei fratelli D’Alessandri nella fotografia e della casa editrice Bruckmann nella riproduzione artistica, così come la partecipazione della Cromo-litografia pontificia di Giovanni Battista de Rossi e della vetreria veneziana Salviati. La scelta della Certosa, motivata tanto da esigenze simboliche quanto urbanistiche, riflette la volontà del papato di inserirsi nel linguaggio moderno delle esposizioni internazionali, proponendo Roma come centro spirituale ma anche produttivo dell’arte sacra.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/164280
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