I conflitti, specie quelli armati, danno origine a vulnerabilità: il solo confronto aspro, che chiede l’identificazione di un vincitore e perdente, determina un vulnus nello sconfitto che sperimenta la sua fragilità. Sin qui un già conosciuto, tanto che il diritto ha posto in essere una serie di strumenti normativi internazionali tesi a non annichilire i “perdenti”, a tutelarli da pretese inesaudibili dei “vincenti”. Quando, tuttavia, si entra già vulnerabili nel conflitto? Quale il destino di tali persone? Quali gli eventuali strumenti di tutela? Meglio, è possibile ipotizzare una tutela, volta a non penalizzare ulteriormente chi versa già in una condizione di fragilità e, dunque, in un’inevitabile condizione di svantaggio? Lo snodo concettuale è nella definizione stessa di persona vulnerabile che, al momento, non è categoria unitaria né univocamente definita: si è vulnerabili, infatti, in maniera contingente (malattia, gravidanza, prigionia, povertà, migrazione, sofferenza fisica e/o psicologica, calamità naturali, disastri ambientali); ma si può essere vulnerabili in maniera naturale (minore età, vecchiaia, disabilità). Una pluralità di possibilità, ciascuna delle quali fa emergere profili differenti di fragilità, che possono richiedere diverse misure di tutela. Una pluralità di condizioni che impedisce alla radice la predisposizione di strumenti di tutela veramente efficaci, ove l’efficacia richiede comunque una dimensione internazionale delle medesime: l’unica che veramente possa garantire un’applicazione erga omnes (ovviamente per quanti sottoscrivono e ratificano tali strumenti). Il tutto in una cornice giuridica che si è strutturata a partire dall’eredità culturale e ideale dell’Illuminismo, teso alla valorizzazione del soggetto razionale e capace di autonomia, il cui corrispettivo giuridico è dato dal soggetto giuridico, titolare di diritti e doveri, che risponde delle proprie azioni, in ragione della sua razionalità. La dimensione della vulnerabilità apre spazi di criticità insoluti, per la sua petizione di spazi di tutela rafforzata, che costituiscono una negazione del principio fondante dell’uguaglianza (formale) fra i soggetti. Quid ius per tali soggetti? Meglio, fino a che punto si può spingere l’avvaloramento della disuguaglianza (teso alla tutela di chi è vulnerabile) senza ledere i diritti di chi vulnerabile non è?

Vulnerabilità e conflitto. Riflessioni sulle dimensioni giuridiche e filosofico-giuridiche della protezione internazionale

DI GIANDOMENICO, Anna
2025-01-01

Abstract

I conflitti, specie quelli armati, danno origine a vulnerabilità: il solo confronto aspro, che chiede l’identificazione di un vincitore e perdente, determina un vulnus nello sconfitto che sperimenta la sua fragilità. Sin qui un già conosciuto, tanto che il diritto ha posto in essere una serie di strumenti normativi internazionali tesi a non annichilire i “perdenti”, a tutelarli da pretese inesaudibili dei “vincenti”. Quando, tuttavia, si entra già vulnerabili nel conflitto? Quale il destino di tali persone? Quali gli eventuali strumenti di tutela? Meglio, è possibile ipotizzare una tutela, volta a non penalizzare ulteriormente chi versa già in una condizione di fragilità e, dunque, in un’inevitabile condizione di svantaggio? Lo snodo concettuale è nella definizione stessa di persona vulnerabile che, al momento, non è categoria unitaria né univocamente definita: si è vulnerabili, infatti, in maniera contingente (malattia, gravidanza, prigionia, povertà, migrazione, sofferenza fisica e/o psicologica, calamità naturali, disastri ambientali); ma si può essere vulnerabili in maniera naturale (minore età, vecchiaia, disabilità). Una pluralità di possibilità, ciascuna delle quali fa emergere profili differenti di fragilità, che possono richiedere diverse misure di tutela. Una pluralità di condizioni che impedisce alla radice la predisposizione di strumenti di tutela veramente efficaci, ove l’efficacia richiede comunque una dimensione internazionale delle medesime: l’unica che veramente possa garantire un’applicazione erga omnes (ovviamente per quanti sottoscrivono e ratificano tali strumenti). Il tutto in una cornice giuridica che si è strutturata a partire dall’eredità culturale e ideale dell’Illuminismo, teso alla valorizzazione del soggetto razionale e capace di autonomia, il cui corrispettivo giuridico è dato dal soggetto giuridico, titolare di diritti e doveri, che risponde delle proprie azioni, in ragione della sua razionalità. La dimensione della vulnerabilità apre spazi di criticità insoluti, per la sua petizione di spazi di tutela rafforzata, che costituiscono una negazione del principio fondante dell’uguaglianza (formale) fra i soggetti. Quid ius per tali soggetti? Meglio, fino a che punto si può spingere l’avvaloramento della disuguaglianza (teso alla tutela di chi è vulnerabile) senza ledere i diritti di chi vulnerabile non è?
2025
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/162284
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