I capitoli raccolti in questo volume riprendono idealmente le aspirazioni di Lynch ma le trasferiscono su un’altra dimensione. La scelta del plurale per “Le immagini della città” infatti non è semplicemente il riconoscimento di una varietà di linguaggi e di narrazioni, ma è anche la presa d’atto di una fondamentale ambivalenza che permea il rapporto tra città e immaginario. Un’ambivalenza che colloca l’urbano nella sfera del “perturbante” (unheimlich), concetto psicoanalitico di matrice freudiana che si ritrova in autori come il viennese Arthur Schnitzler, che descrivono le sensazioni generate dal contatto con qualcosa che risulta al contempo familiare e inquietante. Riferimento quindi a un’entità che si ritrova estranea pur essendo del tutto riconoscibile, e che in questa ambivalenza diviene surreale, generando quindi attrazione e repulsione (Freud 1993). Quella eccedenza di senso, data dal segreto che dimora in ciò che è familiare ma che palesandosi lo può trasformare nel suo contrario. Che portava ad esempio Michel Leiris, in una sua famosa conferenza (Il sacro nella vita quotidiana) del 1938, al Collège de Sociologie, a ritrovare forme di attrazione/repulsione ambivalente e spazi di sacralità in ambienti estremamente familiari come quelli della propria stessa casa (Hollier 1991). L’inquietante stranezza che si annida nel quotidiano e nel mondano, che la società della trasparenza, secondo la definizione datane da Byung Chul Han (2014) si ostina a voler rimuovere, provando a sconfessare quella necessità sistemica del segreto nella società moderna teorizzata da Georg Simmel (1908). Il perturbante non può che costituire un tema centrale nell’esplorazione delle immagini della città, che dietro le forme apparenti e manifeste custodiscono necessariamente il proprio contrario, l’altro lato della forma: l’ineffabile, l’insondabile e il misterioso. La dimensione perturbante quindi, ha suggerito ai curatori di cercare un fil rouge che unisse questa pluralità ambivalente di immagini della città, spaziando dai monumenti, al consumo, ai graffiti e alla musica rap. E questo fil rouge è il rapporto delle città col sacro, inteso come categoria sociologica e politica, che accompagna le immagini della città sin dalla propria fondazione.

Metropoli sacre. Segni, sensi e ri-genenerazione del sociale attraverso le "immagini della città".

Emilio Cocco
In corso di stampa

Abstract

I capitoli raccolti in questo volume riprendono idealmente le aspirazioni di Lynch ma le trasferiscono su un’altra dimensione. La scelta del plurale per “Le immagini della città” infatti non è semplicemente il riconoscimento di una varietà di linguaggi e di narrazioni, ma è anche la presa d’atto di una fondamentale ambivalenza che permea il rapporto tra città e immaginario. Un’ambivalenza che colloca l’urbano nella sfera del “perturbante” (unheimlich), concetto psicoanalitico di matrice freudiana che si ritrova in autori come il viennese Arthur Schnitzler, che descrivono le sensazioni generate dal contatto con qualcosa che risulta al contempo familiare e inquietante. Riferimento quindi a un’entità che si ritrova estranea pur essendo del tutto riconoscibile, e che in questa ambivalenza diviene surreale, generando quindi attrazione e repulsione (Freud 1993). Quella eccedenza di senso, data dal segreto che dimora in ciò che è familiare ma che palesandosi lo può trasformare nel suo contrario. Che portava ad esempio Michel Leiris, in una sua famosa conferenza (Il sacro nella vita quotidiana) del 1938, al Collège de Sociologie, a ritrovare forme di attrazione/repulsione ambivalente e spazi di sacralità in ambienti estremamente familiari come quelli della propria stessa casa (Hollier 1991). L’inquietante stranezza che si annida nel quotidiano e nel mondano, che la società della trasparenza, secondo la definizione datane da Byung Chul Han (2014) si ostina a voler rimuovere, provando a sconfessare quella necessità sistemica del segreto nella società moderna teorizzata da Georg Simmel (1908). Il perturbante non può che costituire un tema centrale nell’esplorazione delle immagini della città, che dietro le forme apparenti e manifeste custodiscono necessariamente il proprio contrario, l’altro lato della forma: l’ineffabile, l’insondabile e il misterioso. La dimensione perturbante quindi, ha suggerito ai curatori di cercare un fil rouge che unisse questa pluralità ambivalente di immagini della città, spaziando dai monumenti, al consumo, ai graffiti e alla musica rap. E questo fil rouge è il rapporto delle città col sacro, inteso come categoria sociologica e politica, che accompagna le immagini della città sin dalla propria fondazione.
In corso di stampa
979-12-80064-73-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/159701
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