Oggi, la persistenza della centralità del lavoro, data per certa nella passata società industriale, crea non poche perplessità, ma anche decise riconferme. Ad esempio, Sonia Bertolini e Valentina Goglio (2023), alla fine di una rassegna di ricerche sul senso del lavoro tra gli adulti e i giovani, ritengono che «non sia il lavoro a perdere la sua centralità, ma piuttosto che cambino le preferenze e le priorità rispetto al tipo di lavoro cercato. Centrale è la qualità del lavoro, che però assume connotazioni diverse negli ultimi anni: la qualità del lavoro è data dalla sua possibilità di essere conciliato con il tempo per la famiglia, la cura e il tempo libero» (p. 93). La conclusione è chiara e condivisibile in riferimento al cambio delle preferenze di lavoro e alla rivalutazione del tempo. Tuttavia, queste preferenze, per lo scarto tra i desideri d’orario, retributivi e di qualità del lavoro, da un canto, e la situazione corrente dall’altro, opacizzano la centralità del lavoro. È il campo di tensione tra coloro che danno e quanti non danno un significato identitario al lavoro e in cui si gioca contemporaneamente la partita complessa della percezione dell’essere «soddisfatto» (con diversa intensità) del proprio lavoro. In assenza di soddisfazione, è improbabile che oggi ci siano senso e cultura del lavoro candidabili come identità sociale centrale per una persona socialmente situata. Esistono anche secche smentite sulla centralità del lavoro, come risulta dalle parole di Marco Vergeat, presidente Asfor, nel presentare la ricerca A cosa serve il lavoro oggi (2023): «emerge una forte discontinuità rispetto al passato, il lavoro sembra rivestire una minore centralità nella gerarchia dei valori e una minore forza identitaria». Non ha tutti i torti, visto che solo un terzo degli intervistati ritiene che il lavoro sia l’attività più importante della vita. In maniera più soft, un articolo di Daniele Marini (2023), a commento di una ricerca del Community Research&Analysis per Federmeccanica (del luglio 2023, condotta su 1020 casi) sul valore del lavoro, conclude che «il lavoro è in «condominio» con altri aspetti della vita: è certamente rilevante e ne condivide l’importanza con altre dimensioni (40,3%, 18-34 anni; 60,7%, oltre 65 anni). Ma, per una parte rilevante, pur essendo importante, il lavoro è messo in secondo piano rispetto ad altri valori (32,2%, 18-34 anni; 25,2%, oltre 65 anni). Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una «centralità marginale» nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. In questo senso, diventa light, «leggero» nel suo peso specifico quale «cardine di vita». Il tempo a disposizione dell’individuo, dopo la pandemia, è la principale risorsa cui il lavoratore mira, tanto che la ricerca Asfor sottolinea come il «tempo libero» guidi la nuova gerarchia dei fattori prioritari che spingerebbero i lavoratori a cambiare lavoro, mentre l’importanza del lavoro nella vita, rispetto alle altre attività, è minore o uguale agli occhi di due terzi degli intervistati (Asfor 2023). Questi dati evidenziano come il tempo libero dal lavoro sia la principale dimensione delle «cose» che veramente contano per una persona e che il reddito da lavoro dovrebbe garantire. Mostrano inoltre come il lavoro sia percepito come strumento totalmente accessorio rispetto alla sfera di consumo che oggi definisce il ceto sociale. Riflettono perciò una cultura strumentale del lavoro invasiva, che caldeggia disimpegno, deresponsabilizzazione, una partecipazione che si limiti allo stretto necessario. Tra le cause di questi atteggiamenti strumentali vi sono le pressioni lavorative, le modeste prospettive di carriera e lo scarso equilibrio tra vita lavorativa e privata, che possono generare frustrazione e demotivazione. Non indifferente è il peso di culture aziendali inadeguate, come quelle gerarchico-piramidali, basate su ordine e disciplina, o quelle finalizzate al risultato che provocano tra i lavoratori stress e competizione eccessiva. Tuttavia, nella speranza che presto le aziende sapranno adattarsi a queste nuove tendenze, ponendo maggiore attenzione al benessere dei dipendenti e creando una cultura del lavoro inclusiva, i risultati di ricerca evidenziano che ambienti di lavoro competitivi, gerarchici e che non trasmettono fiducia possono risultare tossici per i lavoratori e portarli al quiet quitting. Entrambe le tematiche evidenziate, la centralità marginale del lavoro e la cultura strumentale, sono approfondite attraverso la presentazione dei risultati di un’indagine, condotta dall’autrice tra gennaio-febbraio 2024, volta ad evidenziare i diversi gradi di soddisfazione dei dipendenti italiani di una società internazionale di consulenza aziendale e i fattori organizzativi più funzionali alla riconfigurazione del sistema dei bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori (Heller, 2011) che esprimono sempre di più bisogni umani qualitativi legati ad una cultura post-moderna della felicità (De Masi, 2022). Nell’ultima parte della presentazione, anche alla luce dei risultati della ricerca, è offerto un tentativo di classificazione di dieci famiglie di significati del lavoro che si cristallizzano in altrettante tipologie di soggetto.

Culture del lavoro e identità collettive

Rossella Di Federico
2024-01-01

Abstract

Oggi, la persistenza della centralità del lavoro, data per certa nella passata società industriale, crea non poche perplessità, ma anche decise riconferme. Ad esempio, Sonia Bertolini e Valentina Goglio (2023), alla fine di una rassegna di ricerche sul senso del lavoro tra gli adulti e i giovani, ritengono che «non sia il lavoro a perdere la sua centralità, ma piuttosto che cambino le preferenze e le priorità rispetto al tipo di lavoro cercato. Centrale è la qualità del lavoro, che però assume connotazioni diverse negli ultimi anni: la qualità del lavoro è data dalla sua possibilità di essere conciliato con il tempo per la famiglia, la cura e il tempo libero» (p. 93). La conclusione è chiara e condivisibile in riferimento al cambio delle preferenze di lavoro e alla rivalutazione del tempo. Tuttavia, queste preferenze, per lo scarto tra i desideri d’orario, retributivi e di qualità del lavoro, da un canto, e la situazione corrente dall’altro, opacizzano la centralità del lavoro. È il campo di tensione tra coloro che danno e quanti non danno un significato identitario al lavoro e in cui si gioca contemporaneamente la partita complessa della percezione dell’essere «soddisfatto» (con diversa intensità) del proprio lavoro. In assenza di soddisfazione, è improbabile che oggi ci siano senso e cultura del lavoro candidabili come identità sociale centrale per una persona socialmente situata. Esistono anche secche smentite sulla centralità del lavoro, come risulta dalle parole di Marco Vergeat, presidente Asfor, nel presentare la ricerca A cosa serve il lavoro oggi (2023): «emerge una forte discontinuità rispetto al passato, il lavoro sembra rivestire una minore centralità nella gerarchia dei valori e una minore forza identitaria». Non ha tutti i torti, visto che solo un terzo degli intervistati ritiene che il lavoro sia l’attività più importante della vita. In maniera più soft, un articolo di Daniele Marini (2023), a commento di una ricerca del Community Research&Analysis per Federmeccanica (del luglio 2023, condotta su 1020 casi) sul valore del lavoro, conclude che «il lavoro è in «condominio» con altri aspetti della vita: è certamente rilevante e ne condivide l’importanza con altre dimensioni (40,3%, 18-34 anni; 60,7%, oltre 65 anni). Ma, per una parte rilevante, pur essendo importante, il lavoro è messo in secondo piano rispetto ad altri valori (32,2%, 18-34 anni; 25,2%, oltre 65 anni). Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una «centralità marginale» nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. In questo senso, diventa light, «leggero» nel suo peso specifico quale «cardine di vita». Il tempo a disposizione dell’individuo, dopo la pandemia, è la principale risorsa cui il lavoratore mira, tanto che la ricerca Asfor sottolinea come il «tempo libero» guidi la nuova gerarchia dei fattori prioritari che spingerebbero i lavoratori a cambiare lavoro, mentre l’importanza del lavoro nella vita, rispetto alle altre attività, è minore o uguale agli occhi di due terzi degli intervistati (Asfor 2023). Questi dati evidenziano come il tempo libero dal lavoro sia la principale dimensione delle «cose» che veramente contano per una persona e che il reddito da lavoro dovrebbe garantire. Mostrano inoltre come il lavoro sia percepito come strumento totalmente accessorio rispetto alla sfera di consumo che oggi definisce il ceto sociale. Riflettono perciò una cultura strumentale del lavoro invasiva, che caldeggia disimpegno, deresponsabilizzazione, una partecipazione che si limiti allo stretto necessario. Tra le cause di questi atteggiamenti strumentali vi sono le pressioni lavorative, le modeste prospettive di carriera e lo scarso equilibrio tra vita lavorativa e privata, che possono generare frustrazione e demotivazione. Non indifferente è il peso di culture aziendali inadeguate, come quelle gerarchico-piramidali, basate su ordine e disciplina, o quelle finalizzate al risultato che provocano tra i lavoratori stress e competizione eccessiva. Tuttavia, nella speranza che presto le aziende sapranno adattarsi a queste nuove tendenze, ponendo maggiore attenzione al benessere dei dipendenti e creando una cultura del lavoro inclusiva, i risultati di ricerca evidenziano che ambienti di lavoro competitivi, gerarchici e che non trasmettono fiducia possono risultare tossici per i lavoratori e portarli al quiet quitting. Entrambe le tematiche evidenziate, la centralità marginale del lavoro e la cultura strumentale, sono approfondite attraverso la presentazione dei risultati di un’indagine, condotta dall’autrice tra gennaio-febbraio 2024, volta ad evidenziare i diversi gradi di soddisfazione dei dipendenti italiani di una società internazionale di consulenza aziendale e i fattori organizzativi più funzionali alla riconfigurazione del sistema dei bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori (Heller, 2011) che esprimono sempre di più bisogni umani qualitativi legati ad una cultura post-moderna della felicità (De Masi, 2022). Nell’ultima parte della presentazione, anche alla luce dei risultati della ricerca, è offerto un tentativo di classificazione di dieci famiglie di significati del lavoro che si cristallizzano in altrettante tipologie di soggetto.
2024
978-88-5522-634-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/155401
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