Tra le incertezze che permeano il presente e il futuro del mondo del lavoro, due attirano l’attenzione non solo delle scienze sociali, ma spesso anche del dibattito giornalistico e d’opinione. La prima pone la questione se il lavoro sia ancora centrale per l’identità sociale degli italiani. La seconda – con un occhio a tempo e retribuzione e l’altro a sicurezza e qualità del lavoro – riguarda il fenomeno dell’espansione tra i lavoratori di una cultura strumentale, che vede nel lavoro il mezzo di guadagno da spendere nel tempo di vita: un lavoratore passivo, indifferente, un quiet quitter agli occhi del quale il lavoro come dimensione di possibile autorealizzazione non appare realistica. Oggi, la persistenza della centralità del lavoro, data per certa nella passata società industriale, crea non poche perplessità, ma anche decise riconferme. Ad esempio, Sonia Bertolini e Valentina Goglio (2023), alla fine di una rassegna di ricerche sul senso del lavoro tra gli adulti e i giovani, ritengono che «non sia il lavoro a perdere la sua centralità, ma piuttosto che cambino le preferenze e le priorità rispetto al tipo di lavoro cercato. Centrale è la qualità del lavoro, che però assume connotazioni diverse negli ultimi anni: la qualità del lavoro è data dalla sua possibilità di essere conciliato con il tempo per la famiglia, la cura e il tempo libero» (p. 93). La conclusione è chiara e condivisibile in riferimento al cambio delle preferenze di lavoro e alla rivalutazione del tempo. Tuttavia, queste preferenze, per lo scarto tra i desideri d’orario, retributivi e di qualità del lavoro, da un canto, e la situazione corrente dall’altro, opacizzano la centralità del lavoro. È il campo di tensione tra coloro che danno e quanti non danno un significato identitario al lavoro e in cui si gioca contemporaneamente la partita complessa della percezione dell’essere «soddisfatto» (con diversa intensità) del proprio lavoro. In assenza di soddisfazione, è improbabile che oggi ci siano senso e cultura del lavoro candidabili come identità sociale centrale per una persona socialmente situata.
Tempo di lavoro e tempo di vita
Rossella Di Federico
2024-01-01
Abstract
Tra le incertezze che permeano il presente e il futuro del mondo del lavoro, due attirano l’attenzione non solo delle scienze sociali, ma spesso anche del dibattito giornalistico e d’opinione. La prima pone la questione se il lavoro sia ancora centrale per l’identità sociale degli italiani. La seconda – con un occhio a tempo e retribuzione e l’altro a sicurezza e qualità del lavoro – riguarda il fenomeno dell’espansione tra i lavoratori di una cultura strumentale, che vede nel lavoro il mezzo di guadagno da spendere nel tempo di vita: un lavoratore passivo, indifferente, un quiet quitter agli occhi del quale il lavoro come dimensione di possibile autorealizzazione non appare realistica. Oggi, la persistenza della centralità del lavoro, data per certa nella passata società industriale, crea non poche perplessità, ma anche decise riconferme. Ad esempio, Sonia Bertolini e Valentina Goglio (2023), alla fine di una rassegna di ricerche sul senso del lavoro tra gli adulti e i giovani, ritengono che «non sia il lavoro a perdere la sua centralità, ma piuttosto che cambino le preferenze e le priorità rispetto al tipo di lavoro cercato. Centrale è la qualità del lavoro, che però assume connotazioni diverse negli ultimi anni: la qualità del lavoro è data dalla sua possibilità di essere conciliato con il tempo per la famiglia, la cura e il tempo libero» (p. 93). La conclusione è chiara e condivisibile in riferimento al cambio delle preferenze di lavoro e alla rivalutazione del tempo. Tuttavia, queste preferenze, per lo scarto tra i desideri d’orario, retributivi e di qualità del lavoro, da un canto, e la situazione corrente dall’altro, opacizzano la centralità del lavoro. È il campo di tensione tra coloro che danno e quanti non danno un significato identitario al lavoro e in cui si gioca contemporaneamente la partita complessa della percezione dell’essere «soddisfatto» (con diversa intensità) del proprio lavoro. In assenza di soddisfazione, è improbabile che oggi ci siano senso e cultura del lavoro candidabili come identità sociale centrale per una persona socialmente situata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.