«Cantai le fiamme de’ celesti amanti» intona Ovidio nel prologo di La Dafne di Marco da Gagliano su libretto di Ottavio Rinuccini, rappresentata a Firenze negli anni Novanta del Cinquecento e poi a Mantova nel febbraio del 1608. Ovidio cantante sulla scena può essere assunto a emblema dei fermenti epocali del tardo rinascimento italiano. Come estremo e divergente frutto della temperie umanistica e del nuovo interesse per i classici greci e latini, nascerà sul finire del Cinquecento l’opera in musica: evocazione della tragedia antica, rigenerata dalla creatività poetica e musicale contemporanea. Tale invenzione, nel senso latino di ritrovamento, si è nutrita dei classici e, tra essi, di Ovidio. Le storie «de’ celesti amanti» e delle loro metamorfosi, hanno additato la giusta via ai poeti e ai musicisti che andavano sperimentando le forme del narrare in musica. In Ovidio si ritrovava un mondo di dei, di semidei e di creature sovra-umane verosimilmente cantanti fra loro. Le sue narrazioni offrivavo una ricca gamma di storie concise e ricche di chiaroscuri ‘affettivi’, che sapevano raccontare, senza divagazioni di intreccio, vicende di amore, morte, tradimenti, trasmutazioni. Ovidio offriva tutto questo, ma è opportuno chiedersi ora quale fosse la tradizione letteraria alla quale attinsero per le loro sperimentazioni i poeti e i musicisti ‘moderni’. Con quale fedeltà essi si rapportarono con le fonti ovidiane? L’anno 1608 verrà nelle prossime pagine assunto quale angolo visuale privilegiato: momento di raccolta di frutti poetico musicali ormai maturi e, nel contempo, punto dal quale si scorgono all’orizzonte i primi segnali di un mutamento di prospettiva drammurgica. Le eroine di questa storia saranno Dafne e Arianna. I luoghi saranno Firenze, Mantova, Bologna e Venezia.
‘Cantai le fiamme de’ celesti amanti’. Ovidio agli albori del melodramma
Besutti Paola
2024-01-01
Abstract
«Cantai le fiamme de’ celesti amanti» intona Ovidio nel prologo di La Dafne di Marco da Gagliano su libretto di Ottavio Rinuccini, rappresentata a Firenze negli anni Novanta del Cinquecento e poi a Mantova nel febbraio del 1608. Ovidio cantante sulla scena può essere assunto a emblema dei fermenti epocali del tardo rinascimento italiano. Come estremo e divergente frutto della temperie umanistica e del nuovo interesse per i classici greci e latini, nascerà sul finire del Cinquecento l’opera in musica: evocazione della tragedia antica, rigenerata dalla creatività poetica e musicale contemporanea. Tale invenzione, nel senso latino di ritrovamento, si è nutrita dei classici e, tra essi, di Ovidio. Le storie «de’ celesti amanti» e delle loro metamorfosi, hanno additato la giusta via ai poeti e ai musicisti che andavano sperimentando le forme del narrare in musica. In Ovidio si ritrovava un mondo di dei, di semidei e di creature sovra-umane verosimilmente cantanti fra loro. Le sue narrazioni offrivavo una ricca gamma di storie concise e ricche di chiaroscuri ‘affettivi’, che sapevano raccontare, senza divagazioni di intreccio, vicende di amore, morte, tradimenti, trasmutazioni. Ovidio offriva tutto questo, ma è opportuno chiedersi ora quale fosse la tradizione letteraria alla quale attinsero per le loro sperimentazioni i poeti e i musicisti ‘moderni’. Con quale fedeltà essi si rapportarono con le fonti ovidiane? L’anno 1608 verrà nelle prossime pagine assunto quale angolo visuale privilegiato: momento di raccolta di frutti poetico musicali ormai maturi e, nel contempo, punto dal quale si scorgono all’orizzonte i primi segnali di un mutamento di prospettiva drammurgica. Le eroine di questa storia saranno Dafne e Arianna. I luoghi saranno Firenze, Mantova, Bologna e Venezia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.