Insieme al francese, l’inglese è stato ed è la più importante fonte di arricchimento esogeno dell’italiano moderno. Gli influssi dell’inglese sulla lingua, la cultura e la società italiane cominciano a farsi sentire già dal XIII secolo ma è solo nel XX, nella seconda metà in particolare, che tale influenza raggiunge livelli molto alti. L’impatto della cultura angloamericana, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha stabilito il primato dell’inglese come la lingua straniera più diffusa nel nostro Paese – un primato che nei secoli precedenti era stato appannaggio del francese. La cultura anglosassone – e tutto il suo corredo fatto di stile di vita, valori, linguaggio, musica, moda – ha visto crescere gradualmente ma in modo continuo e costante la sua popolarità. Di tanto in tanto, studiosi e opinionisti discutono sul forte ascendente che il mito americano ha sulla mentalità apparentemente debole, provinciale e facilmente influenzabile degli italiani con toni che vanno dal blandamente tollerante all’aspramente critico. Già nel 1989 Dunlop (“Parliamo Itangliano”, English Today, 18: 32-35) parlava della “fatal attraction” degli italiani nei confronti della lingua e dello stile di vita angloamericani, sottolineando anche come gli italiani, rispetto ad esempio ai francesi, fossero 'vittime' meno riluttanti all’infiltrazione dell’inglese nella propria lingua. Tanto forte è stato e continua ad essere l’influsso dell’inglese sull’italiano che è stato coniato il termine “itangliano” per descrivere l’introduzione nel nostro lessico di parole, concetti ed espressioni di matrice anglofona – spesso pronunciate in maniera scorretta e usate per aggiungere un ipotetico tocco di classe all’italiano parlato e scritto. Una tendenza, questa, che si è particolarmente acuita negli ultimi anni e che ha interessato non soltanto i linguaggi settoriali ma anche la lingua usata nella quotidianità. Soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo, dunque, l’inglese rappresenta la principale "donor language" per l’italiano, anche se non sempre si sono registrate omogeneità e continuità in tale influsso che sembra aver toccato il suo apice tra gli anni ’70 e ’80 per poi attraversare un periodo di relativa ‘quiescenza’ e riacutizzarsi nei due decenni del XXI secolo. L’obiettivo di questo lavoro è, pertanto, un’indagine diacronica degli anglicismi entrati nell’italiano economico e finanziario – da “sterlino”, “costuma” e “feo” nel XIII e XVI secolo alle voci entrate nel XIX e nel XX secolo – e verificarne la loro stabilità ("benchmark") o volatilità ("plain vanilla" e "whisper number").

Da "sterlino" a "whisper numbers": analisi diacronica sulla stabilità e la volatilità dei prestiti inglesi nell'italiano dell'economia e della finanza

Francesca Rosati
2023-01-01

Abstract

Insieme al francese, l’inglese è stato ed è la più importante fonte di arricchimento esogeno dell’italiano moderno. Gli influssi dell’inglese sulla lingua, la cultura e la società italiane cominciano a farsi sentire già dal XIII secolo ma è solo nel XX, nella seconda metà in particolare, che tale influenza raggiunge livelli molto alti. L’impatto della cultura angloamericana, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha stabilito il primato dell’inglese come la lingua straniera più diffusa nel nostro Paese – un primato che nei secoli precedenti era stato appannaggio del francese. La cultura anglosassone – e tutto il suo corredo fatto di stile di vita, valori, linguaggio, musica, moda – ha visto crescere gradualmente ma in modo continuo e costante la sua popolarità. Di tanto in tanto, studiosi e opinionisti discutono sul forte ascendente che il mito americano ha sulla mentalità apparentemente debole, provinciale e facilmente influenzabile degli italiani con toni che vanno dal blandamente tollerante all’aspramente critico. Già nel 1989 Dunlop (“Parliamo Itangliano”, English Today, 18: 32-35) parlava della “fatal attraction” degli italiani nei confronti della lingua e dello stile di vita angloamericani, sottolineando anche come gli italiani, rispetto ad esempio ai francesi, fossero 'vittime' meno riluttanti all’infiltrazione dell’inglese nella propria lingua. Tanto forte è stato e continua ad essere l’influsso dell’inglese sull’italiano che è stato coniato il termine “itangliano” per descrivere l’introduzione nel nostro lessico di parole, concetti ed espressioni di matrice anglofona – spesso pronunciate in maniera scorretta e usate per aggiungere un ipotetico tocco di classe all’italiano parlato e scritto. Una tendenza, questa, che si è particolarmente acuita negli ultimi anni e che ha interessato non soltanto i linguaggi settoriali ma anche la lingua usata nella quotidianità. Soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo, dunque, l’inglese rappresenta la principale "donor language" per l’italiano, anche se non sempre si sono registrate omogeneità e continuità in tale influsso che sembra aver toccato il suo apice tra gli anni ’70 e ’80 per poi attraversare un periodo di relativa ‘quiescenza’ e riacutizzarsi nei due decenni del XXI secolo. L’obiettivo di questo lavoro è, pertanto, un’indagine diacronica degli anglicismi entrati nell’italiano economico e finanziario – da “sterlino”, “costuma” e “feo” nel XIII e XVI secolo alle voci entrate nel XIX e nel XX secolo – e verificarne la loro stabilità ("benchmark") o volatilità ("plain vanilla" e "whisper number").
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/141081
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