Il “teatro d’impresa”, ossia l’abbinamento della rappresentazione teatrale all’attività imprenditoriale , è una metodologia didattica di recente introduzione nel panorama della formazione economico-manageriale, le cui prime tracce si rinvengono nei lavori di Poissonneau (in Canada, metà anni ‘80), Fustier (in Francia, primi anni ‘90) e Vergnani (in Italia, metà anni ‘90); da ancora prima, in realtà, facendo specifico riferimento al “teatro dell’oppresso”, al teatro d’impresa si ascrivono i lavori di Boal (in Brasile e America Latina, dagli anni ’60 in avanti) . Può articolarsi in diverse forme rappresentative (attore in scena, allievi in scena, attore in azienda, etc.), ma la relativa tassonomia, la cui analisi è il primo obiettivo del lavoro, ha un limite unicamente creativo, potendosi e dovendosi volta per volta adattare alle specifiche finalità del singolo intervento formativo, in cui il “ruolo” dell’allievo è molto più coinvolto, partecipato e dinamico rispetto ad altre metodologie didattiche. Il passaggio chiave del teatro d’impresa, nel suo contributo d’innovazione alla formazione economico/manageriale, sta pertanto nella novità della tecnica, che porta con sé i benefici della sorpresa, del risveglio dell’attenzione e successivamente della compartecipazione, che sia passiva, collaborativa o attiva, realizzando anche e soprattutto, dal punto di vista della formazione, una vera e propria esperienza. Peraltro, com’è facilmente intuibile, l’aspetto della novità può costituire non soltanto un vantaggio del teatro d’impresa, ma talvolta anche un suo svantaggio, al quale, evidentemente, bisognerà riservare adeguata attenzione; in ogni caso, il trade off tra vantaggi e svantaggi, oggetto di specifica riflessione nel lavoro, presenta un saldo indubbiamente positivo, che spinge a tenere in importante considerazione, nella formazione economico/manageriale, questa nuova tecnica di metodologia della didattica. Infine, si arriva a presentare, quale secondo obiettivo del lavoro, il progetto del “ciclo di vita del manager” (CVM), quale specifica formula creativa degli autori (già rappresentata in palcoscenico in diverse iniziative formative), che s’innesta sul “ciclo di vita della carriera” (Foglio, 2007) e che si ritiene utile nella circostanza della formazione “in potenza”. In questo caso, infatti, l’impresa non è oggettivata nella sua esistenza, ma nella sua competenza.
Il teatro d’impresa nell’innovazione dei processi di formazione economico/manageriale
FESTA, GIUSEPPE;
2011-01-01
Abstract
Il “teatro d’impresa”, ossia l’abbinamento della rappresentazione teatrale all’attività imprenditoriale , è una metodologia didattica di recente introduzione nel panorama della formazione economico-manageriale, le cui prime tracce si rinvengono nei lavori di Poissonneau (in Canada, metà anni ‘80), Fustier (in Francia, primi anni ‘90) e Vergnani (in Italia, metà anni ‘90); da ancora prima, in realtà, facendo specifico riferimento al “teatro dell’oppresso”, al teatro d’impresa si ascrivono i lavori di Boal (in Brasile e America Latina, dagli anni ’60 in avanti) . Può articolarsi in diverse forme rappresentative (attore in scena, allievi in scena, attore in azienda, etc.), ma la relativa tassonomia, la cui analisi è il primo obiettivo del lavoro, ha un limite unicamente creativo, potendosi e dovendosi volta per volta adattare alle specifiche finalità del singolo intervento formativo, in cui il “ruolo” dell’allievo è molto più coinvolto, partecipato e dinamico rispetto ad altre metodologie didattiche. Il passaggio chiave del teatro d’impresa, nel suo contributo d’innovazione alla formazione economico/manageriale, sta pertanto nella novità della tecnica, che porta con sé i benefici della sorpresa, del risveglio dell’attenzione e successivamente della compartecipazione, che sia passiva, collaborativa o attiva, realizzando anche e soprattutto, dal punto di vista della formazione, una vera e propria esperienza. Peraltro, com’è facilmente intuibile, l’aspetto della novità può costituire non soltanto un vantaggio del teatro d’impresa, ma talvolta anche un suo svantaggio, al quale, evidentemente, bisognerà riservare adeguata attenzione; in ogni caso, il trade off tra vantaggi e svantaggi, oggetto di specifica riflessione nel lavoro, presenta un saldo indubbiamente positivo, che spinge a tenere in importante considerazione, nella formazione economico/manageriale, questa nuova tecnica di metodologia della didattica. Infine, si arriva a presentare, quale secondo obiettivo del lavoro, il progetto del “ciclo di vita del manager” (CVM), quale specifica formula creativa degli autori (già rappresentata in palcoscenico in diverse iniziative formative), che s’innesta sul “ciclo di vita della carriera” (Foglio, 2007) e che si ritiene utile nella circostanza della formazione “in potenza”. In questo caso, infatti, l’impresa non è oggettivata nella sua esistenza, ma nella sua competenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.