Negli ultimi decenni lo studio dell’attività inventiva nella letteratura brevettuale nazionale ed internazionale si è spesso caratterizzato per l’emersione di commenti radicali in ordine ad alcune criticità che riguardano l’interpretazione e la valutazione del requisito. Più precisamente le osservazioni si sono dirette a contestare, in modo talora incisivo, un generale abbassamento della soglia di accesso alla protezione e una diversità dei livelli di valutazione. Secondo un criterio di ampia approssimazione si può anche ulteriormente affermare che quasi tutti i commentatori sono giunti a considerare il requisito dell’originalità dell’invenzione come non oggettivo, né d’altronde realmente oggettivabile e, conseguentemente, fonte di germinazione di (troppe) invenzioni di scarsa qualità o, addirittura, prive di ogni qualità, oltre che di incertezze e di costi per i concorrenti e i consociati. Prendendo spunto da questo dato critico il tema del passo inventivo viene studiato, e forse rimeditato, avendo in considerazione non gli effetti o i sintomi di un asserito malessere del sistema brevettuale, ma analizzando diversi punti di osservazione concorrenti, non atomisticamente, ma evidentemente nel loro insieme e attraverso il filtro di quattro problemi specifici. Un primo problema è posto dalla presenza di particolari condizioni nelle quali il requisito viene valutato. L’analisi dell’attività inventiva, infatti, viene condotta sostanzialmente in due soli ambiti: il primo di natura amministrativa di fronte agli esaminatori nelle varie fasi che precedono il rilascio del brevetto (ovvero susseguenti di opposizione) e, un secondo eventuale, giudiziario. Ulteriore caratteristica è anche quella che tendenzialmente questi momenti valutativi, in caso di esito positivo, non comportano mai un apprezzamento definitivo del requisito, se non ai fini strettamente amministrativi. Da ciò conseguono alcuni risultati, ovvero che il giudizio sull'attività inventiva, pur rappresentando un metodo d'analisi, non prescinde mai da una sostanziale fase che si potrebbe definire di ‘modellamento congiunto’ con gli esaminatori in sede amministrativa e, diversamente, la valutazione giudiziaria è in contraddittorio e, tipicamente, tale esame è indirizzato da un concorrente del titolare (o da più concorrenti in diversi giudizi) grandemente interessato all’eliminazione del monopolio brevettuale. Entrambi i momenti d'indagine si caratterizzano per essere essenzialmente documentali e, nella fase giudiziaria, un elemento importante è sempre rappresentato dalla consulenza di un esperto, spesso non giurista. Questi pochi cenni mostrano in modo evidente che il modello di riferimento finora elaborato sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza non possa continuare ad essere considerato in una prospettiva asettica e non rivale e, soprattutto, non dovrebbe essere impostato e pensato per ricercare una sorta di verità giuridico-tecnologica. L’interpretazione deve quindi tener conto della curvatura particolare imposta da questi ambiti di valutazione del requisito. Per quanto appena detto un secondo problema riguarda la necessità di dover focalizzare maggiormente il ruolo delle consulenze tecniche svolte in giudizio dagli esperti, solitamente consulenti in proprietà intellettuale non giuristi. Più esattamente appare significativo vagliare l'apporto e il ruolo che questa classe di soggetti svolge nell'ambito valutativo del requisito poiché, spesso (e di fatto), la giurisprudenza si affida ai risultati della consulenza in modo completo, non di rado la motivazione della sentenza enuncia un principio di diritto in modo tralatizio a protezione di una decisione sostanzialmente resa in via tecnica. Questo aspetto comporta una maggiore e più feconda penetrazione dei criteri di formazione e standardizzazione che viene svolta dai modus operandi dei grandi uffici brevettuali, con l’effetto di una netta rivalutazione dei loro criteri di verifica. Parametri questi che tengono conto in maniera dominante, prima ancora dei canoni di interpretazione, del modo di redigere i testi brevettuali. I metodi (le classiche ‘guidelines’) adottati dall’EPO, dall’USPTO e dal JPO risultano passaggi essenziali e nodali con forti implicazioni anche nei singoli ordinamenti nazionali (e finanche nelle valutazioni giudiziarie locali) poiché spingono di fatto nella direzione della uniformazione e della diffusione dei metodi di redazione dei testi brevettuali e della valutazione dei requisiti delle invenzioni. Ne consegue che occorre tener conto degli elementi di diversità sostanziali che concretamente si scontano nella valutazione del requisito tra una certa immobilità da parte della giurisprudenza degli ordinamenti nazionali (e di parte della dottrina) e una forte vivacità e ampiezza di approfondimento proveniente dagli apparati professionali. Un terzo problema che attraversa i precedenti e che li condiziona tutti risiede poi nell'individuare correttamente il ruolo svolto dalle rivendicazioni. In questo senso le modifiche alle norme della Convenzione sul brevetto europeo di Monaco (d’ora in avanti anche CBE) effettuate dall’EPC 2000 congiuntamente all’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale fatta dai vari ordinamenti nazionali sono elementi di considerevole influenza nello studio del requisito. L'ultimo problema da affrontare è quello di comprendere e di definire i legami che intercorrono tra la ricerca tecnologica e il ritmo dell'innovazione presente nei vari settori da un lato, con il sistema brevettuale dall’altro. Infatti, un altro motivo di oggettivazione e concretizzazione del requisito (su un piano di definizione incrementale) credo possa provenire anche dallo studio derivante dell’invenzione quale entità di traslazione giuridica di ciò che è realmente individuabile (e quindi monopolizzabile) all’interno delle comuni metodiche di progettazione e creazione utilizzate da ciascun settore scientifico e, conseguentemente, indagare che tipo di rapporto intercorre tra ricerca e tipo di innovazione tecnologica del singolo settore di riferimento con il tipo di invenzione e di rivendicazione tecnicamente possibile.

IL PASSO INVENTIVO

SANSEVERINO G
2012-01-01

Abstract

Negli ultimi decenni lo studio dell’attività inventiva nella letteratura brevettuale nazionale ed internazionale si è spesso caratterizzato per l’emersione di commenti radicali in ordine ad alcune criticità che riguardano l’interpretazione e la valutazione del requisito. Più precisamente le osservazioni si sono dirette a contestare, in modo talora incisivo, un generale abbassamento della soglia di accesso alla protezione e una diversità dei livelli di valutazione. Secondo un criterio di ampia approssimazione si può anche ulteriormente affermare che quasi tutti i commentatori sono giunti a considerare il requisito dell’originalità dell’invenzione come non oggettivo, né d’altronde realmente oggettivabile e, conseguentemente, fonte di germinazione di (troppe) invenzioni di scarsa qualità o, addirittura, prive di ogni qualità, oltre che di incertezze e di costi per i concorrenti e i consociati. Prendendo spunto da questo dato critico il tema del passo inventivo viene studiato, e forse rimeditato, avendo in considerazione non gli effetti o i sintomi di un asserito malessere del sistema brevettuale, ma analizzando diversi punti di osservazione concorrenti, non atomisticamente, ma evidentemente nel loro insieme e attraverso il filtro di quattro problemi specifici. Un primo problema è posto dalla presenza di particolari condizioni nelle quali il requisito viene valutato. L’analisi dell’attività inventiva, infatti, viene condotta sostanzialmente in due soli ambiti: il primo di natura amministrativa di fronte agli esaminatori nelle varie fasi che precedono il rilascio del brevetto (ovvero susseguenti di opposizione) e, un secondo eventuale, giudiziario. Ulteriore caratteristica è anche quella che tendenzialmente questi momenti valutativi, in caso di esito positivo, non comportano mai un apprezzamento definitivo del requisito, se non ai fini strettamente amministrativi. Da ciò conseguono alcuni risultati, ovvero che il giudizio sull'attività inventiva, pur rappresentando un metodo d'analisi, non prescinde mai da una sostanziale fase che si potrebbe definire di ‘modellamento congiunto’ con gli esaminatori in sede amministrativa e, diversamente, la valutazione giudiziaria è in contraddittorio e, tipicamente, tale esame è indirizzato da un concorrente del titolare (o da più concorrenti in diversi giudizi) grandemente interessato all’eliminazione del monopolio brevettuale. Entrambi i momenti d'indagine si caratterizzano per essere essenzialmente documentali e, nella fase giudiziaria, un elemento importante è sempre rappresentato dalla consulenza di un esperto, spesso non giurista. Questi pochi cenni mostrano in modo evidente che il modello di riferimento finora elaborato sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza non possa continuare ad essere considerato in una prospettiva asettica e non rivale e, soprattutto, non dovrebbe essere impostato e pensato per ricercare una sorta di verità giuridico-tecnologica. L’interpretazione deve quindi tener conto della curvatura particolare imposta da questi ambiti di valutazione del requisito. Per quanto appena detto un secondo problema riguarda la necessità di dover focalizzare maggiormente il ruolo delle consulenze tecniche svolte in giudizio dagli esperti, solitamente consulenti in proprietà intellettuale non giuristi. Più esattamente appare significativo vagliare l'apporto e il ruolo che questa classe di soggetti svolge nell'ambito valutativo del requisito poiché, spesso (e di fatto), la giurisprudenza si affida ai risultati della consulenza in modo completo, non di rado la motivazione della sentenza enuncia un principio di diritto in modo tralatizio a protezione di una decisione sostanzialmente resa in via tecnica. Questo aspetto comporta una maggiore e più feconda penetrazione dei criteri di formazione e standardizzazione che viene svolta dai modus operandi dei grandi uffici brevettuali, con l’effetto di una netta rivalutazione dei loro criteri di verifica. Parametri questi che tengono conto in maniera dominante, prima ancora dei canoni di interpretazione, del modo di redigere i testi brevettuali. I metodi (le classiche ‘guidelines’) adottati dall’EPO, dall’USPTO e dal JPO risultano passaggi essenziali e nodali con forti implicazioni anche nei singoli ordinamenti nazionali (e finanche nelle valutazioni giudiziarie locali) poiché spingono di fatto nella direzione della uniformazione e della diffusione dei metodi di redazione dei testi brevettuali e della valutazione dei requisiti delle invenzioni. Ne consegue che occorre tener conto degli elementi di diversità sostanziali che concretamente si scontano nella valutazione del requisito tra una certa immobilità da parte della giurisprudenza degli ordinamenti nazionali (e di parte della dottrina) e una forte vivacità e ampiezza di approfondimento proveniente dagli apparati professionali. Un terzo problema che attraversa i precedenti e che li condiziona tutti risiede poi nell'individuare correttamente il ruolo svolto dalle rivendicazioni. In questo senso le modifiche alle norme della Convenzione sul brevetto europeo di Monaco (d’ora in avanti anche CBE) effettuate dall’EPC 2000 congiuntamente all’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale fatta dai vari ordinamenti nazionali sono elementi di considerevole influenza nello studio del requisito. L'ultimo problema da affrontare è quello di comprendere e di definire i legami che intercorrono tra la ricerca tecnologica e il ritmo dell'innovazione presente nei vari settori da un lato, con il sistema brevettuale dall’altro. Infatti, un altro motivo di oggettivazione e concretizzazione del requisito (su un piano di definizione incrementale) credo possa provenire anche dallo studio derivante dell’invenzione quale entità di traslazione giuridica di ciò che è realmente individuabile (e quindi monopolizzabile) all’interno delle comuni metodiche di progettazione e creazione utilizzate da ciascun settore scientifico e, conseguentemente, indagare che tipo di rapporto intercorre tra ricerca e tipo di innovazione tecnologica del singolo settore di riferimento con il tipo di invenzione e di rivendicazione tecnicamente possibile.
2012
8814180334
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