Il saggio introduce al pubblico italiano alcuni drammi in traduzione di Brian Friel, pubblicati con il sostegno di Literature Ireland, e li inquadra nel contesto più ampio della scena irlandese del secondo Novecento e dei primi anni Duemila. L’insistenza del drammaturgo irlandese sull’impossibilità di rappresentare la realtà – specialmente quella postcoloniale – con la parola è il tratto che accomuna i drammi selezionati, che mettono in discussione con diverse strategie l’idea che esista una relazione organica e immutabile tra le parole e le cose, tra una cultura e il mondo che essa rappresenta. Nel percorso tracciato nel saggio, inizialmente la visione di Friel prende corpo nell’importante progetto di riesame della situazione storico-culturale irlandese portato avanti, a partire dagli anni Ottanta, dalla Field Day Theatre Company, fondata dal drammaturgo insieme all’attore Stephen Rea e che vede nella produzione di “Translations” la brillante tematizzazione del processo di colonizzazione fisica e culturale che è iniziato in Irlanda con gli Ordnance Survey nella prima metà dell’Ottocento. L’indistinguibilità tra realtà e finzione prende quindi forma in drammi come “Faith Healer” e “Molly Sweeney”, in cui la trama si dipana attraverso un alternarsi di monologhi che restituiscono il punto di vista, spesso contraddittorio, dei vari personaggi. Le sue versioni dei grandi classici russi, infine, esibiscono una resistenza all’incorporazione nelle forme letterarie inglesi standard e al tempo stesso si propongono come un importante strumento di decolonizzazione intellettuale, poiché l’autore gioca con una serie di precedenti traduzioni in inglese standard, che trasforma fino a farne qualcosa di assolutamente nuovo, che possa parlare ai suoi contemporanei.
Il teatro di Brian Friel: la magia della parola
Alessandra Ruggiero
2022-01-01
Abstract
Il saggio introduce al pubblico italiano alcuni drammi in traduzione di Brian Friel, pubblicati con il sostegno di Literature Ireland, e li inquadra nel contesto più ampio della scena irlandese del secondo Novecento e dei primi anni Duemila. L’insistenza del drammaturgo irlandese sull’impossibilità di rappresentare la realtà – specialmente quella postcoloniale – con la parola è il tratto che accomuna i drammi selezionati, che mettono in discussione con diverse strategie l’idea che esista una relazione organica e immutabile tra le parole e le cose, tra una cultura e il mondo che essa rappresenta. Nel percorso tracciato nel saggio, inizialmente la visione di Friel prende corpo nell’importante progetto di riesame della situazione storico-culturale irlandese portato avanti, a partire dagli anni Ottanta, dalla Field Day Theatre Company, fondata dal drammaturgo insieme all’attore Stephen Rea e che vede nella produzione di “Translations” la brillante tematizzazione del processo di colonizzazione fisica e culturale che è iniziato in Irlanda con gli Ordnance Survey nella prima metà dell’Ottocento. L’indistinguibilità tra realtà e finzione prende quindi forma in drammi come “Faith Healer” e “Molly Sweeney”, in cui la trama si dipana attraverso un alternarsi di monologhi che restituiscono il punto di vista, spesso contraddittorio, dei vari personaggi. Le sue versioni dei grandi classici russi, infine, esibiscono una resistenza all’incorporazione nelle forme letterarie inglesi standard e al tempo stesso si propongono come un importante strumento di decolonizzazione intellettuale, poiché l’autore gioca con una serie di precedenti traduzioni in inglese standard, che trasforma fino a farne qualcosa di assolutamente nuovo, che possa parlare ai suoi contemporanei.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.