Le leggi di procedura penale contenute nel Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819 furono il primo regolamento organico di procedura penale per il regno meridionale, preceduto da una serie di leggi e decreti emanati da Giuseppe Bonaparte nel maggio del 1808, che però non possedevano la stessa completezza e omogeneità. Già le leggi del periodo napoleonico, e più ancora quelle del 1819, mostrano la scelta del legislatore per il modello del processo misto, prefigurato dal codice francese dei delitti e delle pene del 3 brumaio anno IV (27 ottobre 1795), noto come Code Merlin, e poi affermatosi soprattutto nel Code d’instruction criminelle di Napoleone, formato nel 1808. La legislazione meridionale sul processo criminale fu influenzata, altresì, specialmente nel rifiuto della giuria popolare, dal Codice di procedura penale del Regno Italico redatto da Giandomenico Romagnosi ed entrato in vigore il 14 ottobre del 1807. Nelle leggi del 1819 l’istruttoria – cioè la prima delle due fasi in cui si scompone il processo misto – appare ulteriormente suddivisa nell’accertamento dei fatti e nella ricerca del colpevole, con ricorso alla terminologia di diritto comune: si parla di “prova generica” e “prova specifica”. Nel complesso, per il suo carattere inquisitorio, la sua segretezza, la negazione del diritto di difesa fino alla sua chiusura, l’inchiesta partenopea disegnata dalle leggi del 1819 appare modellata su quella di antico regime, della quale ricalca i tempi e le logiche fondanti, anche se si notano, in queste leggi, sintomi del superamento di alcune categorie del processo penale di diritto comune, come il progressivo distacco dal sistema delle prove legali mediante attribuzione al giudice del potere di libera valutazione delle prove raccolte. La “procedimentalizzazione” della prova non eliminava, peraltro, il forte peso dell’istruttoria sul dibattimento – la seconda delle due fasi del processo misto – che solo in teoria avrebbe potuto, grazie all’applicazione dei principi dell’oralità e della pubblicità, contenere l’arbitrio del giudice nel giudizio sul fatto: in realtà, il nodo dell’istruttoria, ancora fortemente caratterizzata in senso inquisitorio, resterà irrisolto anche sotto il vigore del codice di procedura unitario.[...]

L’inchiesta nelle Leggi della procedura ne’ giudizi penali del Regno delle Due Sicilie (1819)

ROGGERO, Federico
2007-01-01

Abstract

Le leggi di procedura penale contenute nel Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819 furono il primo regolamento organico di procedura penale per il regno meridionale, preceduto da una serie di leggi e decreti emanati da Giuseppe Bonaparte nel maggio del 1808, che però non possedevano la stessa completezza e omogeneità. Già le leggi del periodo napoleonico, e più ancora quelle del 1819, mostrano la scelta del legislatore per il modello del processo misto, prefigurato dal codice francese dei delitti e delle pene del 3 brumaio anno IV (27 ottobre 1795), noto come Code Merlin, e poi affermatosi soprattutto nel Code d’instruction criminelle di Napoleone, formato nel 1808. La legislazione meridionale sul processo criminale fu influenzata, altresì, specialmente nel rifiuto della giuria popolare, dal Codice di procedura penale del Regno Italico redatto da Giandomenico Romagnosi ed entrato in vigore il 14 ottobre del 1807. Nelle leggi del 1819 l’istruttoria – cioè la prima delle due fasi in cui si scompone il processo misto – appare ulteriormente suddivisa nell’accertamento dei fatti e nella ricerca del colpevole, con ricorso alla terminologia di diritto comune: si parla di “prova generica” e “prova specifica”. Nel complesso, per il suo carattere inquisitorio, la sua segretezza, la negazione del diritto di difesa fino alla sua chiusura, l’inchiesta partenopea disegnata dalle leggi del 1819 appare modellata su quella di antico regime, della quale ricalca i tempi e le logiche fondanti, anche se si notano, in queste leggi, sintomi del superamento di alcune categorie del processo penale di diritto comune, come il progressivo distacco dal sistema delle prove legali mediante attribuzione al giudice del potere di libera valutazione delle prove raccolte. La “procedimentalizzazione” della prova non eliminava, peraltro, il forte peso dell’istruttoria sul dibattimento – la seconda delle due fasi del processo misto – che solo in teoria avrebbe potuto, grazie all’applicazione dei principi dell’oralità e della pubblicità, contenere l’arbitrio del giudice nel giudizio sul fatto: in realtà, il nodo dell’istruttoria, ancora fortemente caratterizzata in senso inquisitorio, resterà irrisolto anche sotto il vigore del codice di procedura unitario.[...]
2007
9788849514964
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