Il fascino magnetico del mare ha da sempre attratto l’uomo, mosso, per sua stessa indole, da due impulsi apparentemente contrastanti, il desiderio di scoperta e la ricerca di un porto sicuro, quasi in una continua danza tra l’ardore della conoscenza e la serenità di un’esistenza priva di rischi. Non potendo soddisfare appieno tali pulsioni con i soli propri mezzi fisici, fragili al cospetto delle forze della natura, si è dovuto industriare, è stato costretto a realizzare strumenti che ne amplificassero le proprie abilità, che lo rendessero capace di superare i propri limiti. Tra le varie creazioni dell’uomo, la nave è stata senz’altro tra quelle di maggior successo, svolgendo un ruolo principe sia nella vita dei singoli, sia nella storia dei popoli, consentendo di avventurarsi nell’ignoto, scoprire nuove terre, far fiorire i commerci e al tempo stesso fornendo un luogo dove poter trovar rifugio dai pericoli dei flutti. La nave da semplice veicolo si è tramutata via via in un’indispensabile compagna di viaggio, tanto che ancora oggi nei contratti che la riguardano, specialmente in quelli di impostazione anglosassone, ci si rivolge ad essa personificandola ed utilizzando il termine “she” (“ella”). Il legame che ci stringe ad essa è talmente profondo ed ancestrale da renderla, coscientemente o meno, frequentatrice abituale di pensieri, discorsi, rappresentazioni, a pre-scindere dal nostro luogo geografico di origine, vicino o lontano dal mare. Non è certo infrequente in una locanda di montagna imbattersi in un dipinto o una litografia raffigurante una nave, in balia di una tempesta, che avvista una fioca luce in lontananza, metafora delle difficoltà della vita e della volontà di affrontarle con coraggio, senza abbandonare la speranza. Da questa confidenza con l’immagine che si ha di una nave sorge, però, un paradosso: ciascuno è convinto di saperla facilmente riconoscere quando ne vede una, ma non mostra altrettanta sicurezza nel momento in cui è chiamato ad indicarne i tratti distintivi, così da poterne fornire una definizione precisa. La ragione di tale sfasamento è forse da rinvenirsi nell’idea di nave che molti di noi hanno in mente, ivi impressa dallo studio della storia, dalle opere d’arte che ci circondano e dalle rappresentazioni cinematografiche, ancorata ad un tempo lontano, che rievoca le caravelle di Colombo, in legno scuro e spinte dal vento. Ciò, chiaramente, non ci porta fino a dubitare che le navi da carico moderne in metallo e prive di vele appartengano alla medesima categoria, ma l’esercizio diventa più complesso e dagli esiti meno prevedibili quando si ha a che fare con unità galleggianti peculiari, dalle più disparate forme e funzioni. Tali strutture, peraltro, spesso hanno più tratti in comune con le navi da trasporto merci moderne di quanti queste non abbiano con le caravelle. In tal caso, il salto logico dinnanzi al quale ci si trova non è banale e richiede, per essere effettuato in sicurezza, solidi appigli in parametri condivisi individuati a monte, che concorrono a formare una definizione. Ed è proprio nella redazione di quest’ultima che si può giudicare il livello di abilità, creatività e precisione del Legislatore e del giurista, che dovrà essere sufficientemente lungimirante da proporre una formulazione breve, lineare e chiara, dall’ampiezza semantica proporzionata agli scopi da raggiungere, ma comunque capace di ricomprendere le varie declinazioni di una fattispecie, persino nelle sue evoluzioni future. Una definizione, infatti, nonostante un’apparente connaturata rigidità, rivela tutte le sue potenzialità di rafforzare la certezza di applicazione e l’uniformità di interpretazione delle norme proprio quando è dotata di quella flessibilità che le consente di non perdere la sua funzione dinnanzi alla sempre maggiore multiformità del reale in divenire. È dal desiderio di approfondire la meravigliosa polisemia del concetto di “nave”, già descritta in passato come “uno dei più cospicui esempi di pluri-qualificazione giuridica di un medesimo elemento fenomenico”, e le sue linee evolutive sia sotto un profilo diacronico, sia in prospettiva comparatistica, che trae origine il presente lavoro. L’indagine, prendendo le mosse dalla normativa e dalla giurisprudenza italiane, esaminate avendo riguardo ai vari settori di interesse, tra cui quello diportistico, e dall’individuazione degli elementi costitutivi e dei confini ontologici della res “nave”, prima che si trasformi in relitto, prosegue ampliando il campo visivo alla disciplina internazionale uniforme, per poi soffermarsi, in chiave comparata, sugli ordinamenti di quattro Paesi, dalle diverse tradizioni giuridiche di Common Law e di Civil Law, particolarmente sensibili alle tematiche marittime, il Regno Unito, gli Stati Uniti la Norvegia e il Belgio. Nel corso della disamina una particolare attenzione viene prestata alle problematiche connesse alla corretta qualificazione di strutture di più recente progettazione e utilizzo e all’analisi di alcune criticità che emergono da definizioni talora non ben congeniate. Seppur nella consapevolezza di essersi avventurati su un sentiero particolarmente accidentato, sia per la delicatezza e rilevanza dell’argomento trattato, in quanto, come ricordato dalla miglior Dottrina “definire la nave […] vuol dire […] determinare i confini della materia marittima”, sia per le difficoltà inerenti alle scelte da prendere nella stessa formulazione della definizione, ci si propone di verificare se ed in che misura sia possibile trovare soluzioni ragionevoli, che mettano al riparo dalle gravi incertezze qualificatorie più volte sorte, che si traducono inevitabilmente nel rischio di non essere in grado di individuare la disciplina applicabile a certe fattispecie.

La nozione di nave

Massimiliano Musi
2020-01-01

Abstract

Il fascino magnetico del mare ha da sempre attratto l’uomo, mosso, per sua stessa indole, da due impulsi apparentemente contrastanti, il desiderio di scoperta e la ricerca di un porto sicuro, quasi in una continua danza tra l’ardore della conoscenza e la serenità di un’esistenza priva di rischi. Non potendo soddisfare appieno tali pulsioni con i soli propri mezzi fisici, fragili al cospetto delle forze della natura, si è dovuto industriare, è stato costretto a realizzare strumenti che ne amplificassero le proprie abilità, che lo rendessero capace di superare i propri limiti. Tra le varie creazioni dell’uomo, la nave è stata senz’altro tra quelle di maggior successo, svolgendo un ruolo principe sia nella vita dei singoli, sia nella storia dei popoli, consentendo di avventurarsi nell’ignoto, scoprire nuove terre, far fiorire i commerci e al tempo stesso fornendo un luogo dove poter trovar rifugio dai pericoli dei flutti. La nave da semplice veicolo si è tramutata via via in un’indispensabile compagna di viaggio, tanto che ancora oggi nei contratti che la riguardano, specialmente in quelli di impostazione anglosassone, ci si rivolge ad essa personificandola ed utilizzando il termine “she” (“ella”). Il legame che ci stringe ad essa è talmente profondo ed ancestrale da renderla, coscientemente o meno, frequentatrice abituale di pensieri, discorsi, rappresentazioni, a pre-scindere dal nostro luogo geografico di origine, vicino o lontano dal mare. Non è certo infrequente in una locanda di montagna imbattersi in un dipinto o una litografia raffigurante una nave, in balia di una tempesta, che avvista una fioca luce in lontananza, metafora delle difficoltà della vita e della volontà di affrontarle con coraggio, senza abbandonare la speranza. Da questa confidenza con l’immagine che si ha di una nave sorge, però, un paradosso: ciascuno è convinto di saperla facilmente riconoscere quando ne vede una, ma non mostra altrettanta sicurezza nel momento in cui è chiamato ad indicarne i tratti distintivi, così da poterne fornire una definizione precisa. La ragione di tale sfasamento è forse da rinvenirsi nell’idea di nave che molti di noi hanno in mente, ivi impressa dallo studio della storia, dalle opere d’arte che ci circondano e dalle rappresentazioni cinematografiche, ancorata ad un tempo lontano, che rievoca le caravelle di Colombo, in legno scuro e spinte dal vento. Ciò, chiaramente, non ci porta fino a dubitare che le navi da carico moderne in metallo e prive di vele appartengano alla medesima categoria, ma l’esercizio diventa più complesso e dagli esiti meno prevedibili quando si ha a che fare con unità galleggianti peculiari, dalle più disparate forme e funzioni. Tali strutture, peraltro, spesso hanno più tratti in comune con le navi da trasporto merci moderne di quanti queste non abbiano con le caravelle. In tal caso, il salto logico dinnanzi al quale ci si trova non è banale e richiede, per essere effettuato in sicurezza, solidi appigli in parametri condivisi individuati a monte, che concorrono a formare una definizione. Ed è proprio nella redazione di quest’ultima che si può giudicare il livello di abilità, creatività e precisione del Legislatore e del giurista, che dovrà essere sufficientemente lungimirante da proporre una formulazione breve, lineare e chiara, dall’ampiezza semantica proporzionata agli scopi da raggiungere, ma comunque capace di ricomprendere le varie declinazioni di una fattispecie, persino nelle sue evoluzioni future. Una definizione, infatti, nonostante un’apparente connaturata rigidità, rivela tutte le sue potenzialità di rafforzare la certezza di applicazione e l’uniformità di interpretazione delle norme proprio quando è dotata di quella flessibilità che le consente di non perdere la sua funzione dinnanzi alla sempre maggiore multiformità del reale in divenire. È dal desiderio di approfondire la meravigliosa polisemia del concetto di “nave”, già descritta in passato come “uno dei più cospicui esempi di pluri-qualificazione giuridica di un medesimo elemento fenomenico”, e le sue linee evolutive sia sotto un profilo diacronico, sia in prospettiva comparatistica, che trae origine il presente lavoro. L’indagine, prendendo le mosse dalla normativa e dalla giurisprudenza italiane, esaminate avendo riguardo ai vari settori di interesse, tra cui quello diportistico, e dall’individuazione degli elementi costitutivi e dei confini ontologici della res “nave”, prima che si trasformi in relitto, prosegue ampliando il campo visivo alla disciplina internazionale uniforme, per poi soffermarsi, in chiave comparata, sugli ordinamenti di quattro Paesi, dalle diverse tradizioni giuridiche di Common Law e di Civil Law, particolarmente sensibili alle tematiche marittime, il Regno Unito, gli Stati Uniti la Norvegia e il Belgio. Nel corso della disamina una particolare attenzione viene prestata alle problematiche connesse alla corretta qualificazione di strutture di più recente progettazione e utilizzo e all’analisi di alcune criticità che emergono da definizioni talora non ben congeniate. Seppur nella consapevolezza di essersi avventurati su un sentiero particolarmente accidentato, sia per la delicatezza e rilevanza dell’argomento trattato, in quanto, come ricordato dalla miglior Dottrina “definire la nave […] vuol dire […] determinare i confini della materia marittima”, sia per le difficoltà inerenti alle scelte da prendere nella stessa formulazione della definizione, ci si propone di verificare se ed in che misura sia possibile trovare soluzioni ragionevoli, che mettano al riparo dalle gravi incertezze qualificatorie più volte sorte, che si traducono inevitabilmente nel rischio di non essere in grado di individuare la disciplina applicabile a certe fattispecie.
2020
9788869721571
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11575/108451
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact