L’arrivo dei Goti di Teoderico in Italia (i cosiddetti Ostrogoti) e la vicenda sessantennale (dal 493 al 553) del loro regno presenta caratteristiche specifiche assai interessanti se paragonato agli altri regna che sorsero più o meno contemporaneamente in Occidente. I Goti, per cominciare, non in Italia arrivarono con atteggiamento ostile nei confronti dell’impero, ma a seguito di un preciso accordo che Teoderico aveva preso con l’imperatore d’Oriente Zenone (all’epoca l’unico imperatore esistente). Si trattava di porre fine all’esperienza ‘eversiva’ di cui s’era reso protagonista Odoacre: un’esperienza assolutamente inedita in Italia e che aveva sancito formalmente la fine dell’impero romano d’Occidente. Molta ambiguità circondava il profilo costituzionale del potere di Teoderico che appariva diverso a seconda che lo si considerasse dall’ottica dei nuovi arrivati Goti o invece da quella dei Romani già residenti. Come si configurava, rispetto all’imperatore, il governo di Teoderico? Gli studiosi hanno proposto risposte differenti: si è parlato di una ‘reggenza’, di un ‘vicariato’ e – più di recente – di una sorta di ‘protettorato’. In ogni caso, ancorché formalmente subordinato a Costantinopoli, il re goto godette di una completa autonomia in politica interna così come in politica estera. Al di là però della reale configurazione costituzionale del ruolo di Teoderico, interessa di più capire quale soluzione il suo regno rappresentasse in relazione al problema di carattere sostanziale che il re goto intendeva risolvere: unire due popoli sotto un unico governo. Teoderico intendeva il suo regno come un edificio complesso in cui si sovrapponevano due realtà distinte (la gota e la romana), destinate ad assolvere funzioni diverse (la difesa militare dello stato l’una, il controllo dell’amministrazione l’altra). Tali realtà sovrapposte avrebbero dovuto convivere e collaborare in armonia, trovando proprio nel sovrano il primo e principale elemento di connessione. Un siffatto dualismo, però, nelle intenzioni del sovrano, era destinato a perdurare o piuttosto caratterizzava le sole basi di partenza di una convivenza che invece doveva, prima o poi, sfociare in una sostanziale e proficua integrazione? Anche sulla risposta da dare a questo interrogativo gli studiosi si sono divisi. A chi ha sostenuto che l’obiettivo di Toderico fosse quello di «accostare e fondere Romani e Barbari», altri si sono opposti cercando di dimostrare che mai Teodorico abbandonò la politica ‘separatista’. Il rapido tramonto del regno goto dopo appena cinquant’anni di vita sarebbe appunto dovuto all’ovvia debolezza derivante dalla ‘scommessa impossibile’ di tenere assieme senza fonderle due comunità distinte. In realtà, studi recenti lasciano intendere come l’integrazione tra Romani e Barbari, civili e militari, cattolici e ariani debba aver proceduto ben più di quanto si sarebbe disposti ad ammettere. Né, a conti fatti, l’esperienza teodericiana sembrerebbe così inevitabilmente e ineluttabilmente condannata al fallimento. Sotto questo profilo, elementi significativi sui quali ragionare provengono dalle ricerche archeologiche e, soprattutto, dallo studio della politica fiscale del sovrano goto.

Oltre la milizia. Fisco e civilitas per i Goti di Teoderico

Luca Loschiavo
2017-01-01

Abstract

L’arrivo dei Goti di Teoderico in Italia (i cosiddetti Ostrogoti) e la vicenda sessantennale (dal 493 al 553) del loro regno presenta caratteristiche specifiche assai interessanti se paragonato agli altri regna che sorsero più o meno contemporaneamente in Occidente. I Goti, per cominciare, non in Italia arrivarono con atteggiamento ostile nei confronti dell’impero, ma a seguito di un preciso accordo che Teoderico aveva preso con l’imperatore d’Oriente Zenone (all’epoca l’unico imperatore esistente). Si trattava di porre fine all’esperienza ‘eversiva’ di cui s’era reso protagonista Odoacre: un’esperienza assolutamente inedita in Italia e che aveva sancito formalmente la fine dell’impero romano d’Occidente. Molta ambiguità circondava il profilo costituzionale del potere di Teoderico che appariva diverso a seconda che lo si considerasse dall’ottica dei nuovi arrivati Goti o invece da quella dei Romani già residenti. Come si configurava, rispetto all’imperatore, il governo di Teoderico? Gli studiosi hanno proposto risposte differenti: si è parlato di una ‘reggenza’, di un ‘vicariato’ e – più di recente – di una sorta di ‘protettorato’. In ogni caso, ancorché formalmente subordinato a Costantinopoli, il re goto godette di una completa autonomia in politica interna così come in politica estera. Al di là però della reale configurazione costituzionale del ruolo di Teoderico, interessa di più capire quale soluzione il suo regno rappresentasse in relazione al problema di carattere sostanziale che il re goto intendeva risolvere: unire due popoli sotto un unico governo. Teoderico intendeva il suo regno come un edificio complesso in cui si sovrapponevano due realtà distinte (la gota e la romana), destinate ad assolvere funzioni diverse (la difesa militare dello stato l’una, il controllo dell’amministrazione l’altra). Tali realtà sovrapposte avrebbero dovuto convivere e collaborare in armonia, trovando proprio nel sovrano il primo e principale elemento di connessione. Un siffatto dualismo, però, nelle intenzioni del sovrano, era destinato a perdurare o piuttosto caratterizzava le sole basi di partenza di una convivenza che invece doveva, prima o poi, sfociare in una sostanziale e proficua integrazione? Anche sulla risposta da dare a questo interrogativo gli studiosi si sono divisi. A chi ha sostenuto che l’obiettivo di Toderico fosse quello di «accostare e fondere Romani e Barbari», altri si sono opposti cercando di dimostrare che mai Teodorico abbandonò la politica ‘separatista’. Il rapido tramonto del regno goto dopo appena cinquant’anni di vita sarebbe appunto dovuto all’ovvia debolezza derivante dalla ‘scommessa impossibile’ di tenere assieme senza fonderle due comunità distinte. In realtà, studi recenti lasciano intendere come l’integrazione tra Romani e Barbari, civili e militari, cattolici e ariani debba aver proceduto ben più di quanto si sarebbe disposti ad ammettere. Né, a conti fatti, l’esperienza teodericiana sembrerebbe così inevitabilmente e ineluttabilmente condannata al fallimento. Sotto questo profilo, elementi significativi sui quali ragionare provengono dalle ricerche archeologiche e, soprattutto, dallo studio della politica fiscale del sovrano goto.
2017
978-88-6728-762-8
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