Nella linea degli studi di Marshall McLuhan ed Eric Havelock, Derrick De Kerchkove ha sviluppato la tesi secondo la quale l’invenzione del teatro da parte della comunità ateniese tra VI e V secolo a.C. rappresenta un momento decisivo nella formazione della mente occidentale, da collegare strettamente con la coeva invenzione della scrittura alfabetica destrorsa. Poiché la fruizione dello spettacolo richiede comportamenti e attenzione caratterizzati da immobilità, distanza e riflessione mentale, il teatro avrebbe contribuito all’affermarsi di modalità di percezione e di partecipazione alla vita sociale dipendenti dal crescente valore dell’occhio e della vista, favorendo al contempo il declinare del ruolo dell’orecchio e dell’oralità tribale. Il teatro avrebbe insomma agito, a quel tempo, come un potente operatore di desensorializzazione della conoscenza e dell’esperienza. Oggi le trasformazioni profonde dei mezzi tecnici della comunicazione hanno determinato qualche mutamento? I segnali provenienti dalla sperimentazione teatrale della seconda metà del Novecento sembrano in effetti suggerire una trasformazione significativa dello statuto delle arti performative, se non un rovesciamento. Nel contesto comunicativo contemporaneo caratterizzato dalla virtualità e dalle reti digitali, la pratica del teatro e delle altre arti performátiche (danza e musica) sembra acquisire un segno prevalentemente contrario come potenziale “acceleratore” di risensorializzazione della conoscenza.

Forma sociale della psicologia alfabetica. Il teatro nell'ipotesi "neuroculturale" di de Kerckhove

DERIU, Fabrizio
2014-01-01

Abstract

Nella linea degli studi di Marshall McLuhan ed Eric Havelock, Derrick De Kerchkove ha sviluppato la tesi secondo la quale l’invenzione del teatro da parte della comunità ateniese tra VI e V secolo a.C. rappresenta un momento decisivo nella formazione della mente occidentale, da collegare strettamente con la coeva invenzione della scrittura alfabetica destrorsa. Poiché la fruizione dello spettacolo richiede comportamenti e attenzione caratterizzati da immobilità, distanza e riflessione mentale, il teatro avrebbe contribuito all’affermarsi di modalità di percezione e di partecipazione alla vita sociale dipendenti dal crescente valore dell’occhio e della vista, favorendo al contempo il declinare del ruolo dell’orecchio e dell’oralità tribale. Il teatro avrebbe insomma agito, a quel tempo, come un potente operatore di desensorializzazione della conoscenza e dell’esperienza. Oggi le trasformazioni profonde dei mezzi tecnici della comunicazione hanno determinato qualche mutamento? I segnali provenienti dalla sperimentazione teatrale della seconda metà del Novecento sembrano in effetti suggerire una trasformazione significativa dello statuto delle arti performative, se non un rovesciamento. Nel contesto comunicativo contemporaneo caratterizzato dalla virtualità e dalle reti digitali, la pratica del teatro e delle altre arti performátiche (danza e musica) sembra acquisire un segno prevalentemente contrario come potenziale “acceleratore” di risensorializzazione della conoscenza.
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