A più di quarant’anni dalla nascita del domain name system, la tutela dei nomi a dominio sembra avere trovato finalmente un posto di tutto rilievo negli ordinamenti nazionali dove l’estensione analogica della disciplina di marchi e della concorrenza sleale o il recepimento della normativa sopranazionale suggerita dall’ICANN hanno garantito adeguati mezzi di tutela in favore di chiunque voglia trasporre la propria attività imprenditoriale nel web. In Italia, dopo un’iniziale perplessità in merito alla natura stessa dei domini ed un loro temporaneo accostamento all’insegna , si è consolidato in dottrina e giurisprudenza l’orientamento che vede i domain names come segni distintivi atipici e ne riconosce il carattere distintivo, se non anche “induttivo” . Tale classificazione ha consentito non solo di dare adeguata protezione al titolare del marchio quando non particolarmente “avveduto”, ma di tutelare anche i detentori di altri segni distintivi fino, a ricomprendere il possibile caso dell’imprenditore che dia inizio ad un’attività destinata a svolgersi interamente on-line o comunque non preceduta da un’omologa nel contesto reale. Ciononostante, alcune perplessità restano, come è normale che sia, in un sistema come il nostro che, lungi dall’adottare una disciplina ad hoc, ha preferito accogliere una veste ibrida che accoppia una regolazione meramente tecnica a norme prese in prestito dalla proprietà intellettuale. Non stupisce allora che, sebbene la portata confusoria del nome a dominio sia ormai unanimemente riconosciuta, così come la sua natura di segno distintivo seppur atipico, si parli di concessione dello stesso da parte della Registration Authority e che a seguito di questa non insorga, in capo al registrante, alcun tipo di diritto opponibile a terzi. Ancora, l’estensione analogica della legge marchi e della disciplina della concorrenza sleale non sono riuscite a sedare i problemi scaturenti dalla first come, first served rule, disposizione tecnica incorporata nell’articolo 3 delle regole di naming, che insieme alla mancanza di un controllo sostanziale sui requisiti di registrabilità rappresenta la principale fallacy del sistema .

“Domain names e marchio che gode di rinomanza: il caso Armani”

AREZZO, Emanuela
2003-01-01

Abstract

A più di quarant’anni dalla nascita del domain name system, la tutela dei nomi a dominio sembra avere trovato finalmente un posto di tutto rilievo negli ordinamenti nazionali dove l’estensione analogica della disciplina di marchi e della concorrenza sleale o il recepimento della normativa sopranazionale suggerita dall’ICANN hanno garantito adeguati mezzi di tutela in favore di chiunque voglia trasporre la propria attività imprenditoriale nel web. In Italia, dopo un’iniziale perplessità in merito alla natura stessa dei domini ed un loro temporaneo accostamento all’insegna , si è consolidato in dottrina e giurisprudenza l’orientamento che vede i domain names come segni distintivi atipici e ne riconosce il carattere distintivo, se non anche “induttivo” . Tale classificazione ha consentito non solo di dare adeguata protezione al titolare del marchio quando non particolarmente “avveduto”, ma di tutelare anche i detentori di altri segni distintivi fino, a ricomprendere il possibile caso dell’imprenditore che dia inizio ad un’attività destinata a svolgersi interamente on-line o comunque non preceduta da un’omologa nel contesto reale. Ciononostante, alcune perplessità restano, come è normale che sia, in un sistema come il nostro che, lungi dall’adottare una disciplina ad hoc, ha preferito accogliere una veste ibrida che accoppia una regolazione meramente tecnica a norme prese in prestito dalla proprietà intellettuale. Non stupisce allora che, sebbene la portata confusoria del nome a dominio sia ormai unanimemente riconosciuta, così come la sua natura di segno distintivo seppur atipico, si parli di concessione dello stesso da parte della Registration Authority e che a seguito di questa non insorga, in capo al registrante, alcun tipo di diritto opponibile a terzi. Ancora, l’estensione analogica della legge marchi e della disciplina della concorrenza sleale non sono riuscite a sedare i problemi scaturenti dalla first come, first served rule, disposizione tecnica incorporata nell’articolo 3 delle regole di naming, che insieme alla mancanza di un controllo sostanziale sui requisiti di registrabilità rappresenta la principale fallacy del sistema .
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