L’ultima opera teatrale di Tom Stoppard, "Rock’n’roll", rappresentata per la prima volta a Londra nel giugno del 2006 e diretta da Trevor Nunn, sviluppa il concetto di migrazione su piani e assi diversi, spostandosi sincronicamente e in modo intermittente tra l’Inghilterra e la Cecoslovacchia (il protagonista è un ex emigrato ceco che torna al suo paese di origine, ma mantiene i suoi rapporti con Cambridge) e diacronicamente, dagli anni Sessanta ai Novanta. Centrale è il modo in cui l’autore rappresenta la trasformazione di un sogno generazionale, quello legato a valori e ideali appartenenti a una congerie storico-culturale unica quale quella del ’68, nel transito tra contesti geografici e sociali diversi e tra periodi storici diversi, trasferendosi quindi sul piano della memoria, e offrendo anche un interessante spunto di riflessione sul concetto stesso di ‘generazione’. Traendo ispirazione da alcuni scritti di Vaclav Havel, il drammaturgo fa però della musica il perno intorno al quale avvita il processo memoriale dell’opera. Negli anni Sessanta, interessati da una fondamentale convergenza delle arti e dei piani culturali alto/basso, nonché dal fiorire degli studi intorno alla nascente e subito proliferante pop culture, la musica pop e rock assume una posizione di assoluto protagonismo, facendosi portatrice di valori libertari e protestatari in un clima transnazionale di infuocata insofferenza verso ogni forma di gerarchia o istituzione. L’opera di Stoppard indugia quindi sulla fecondità della contaminazione tra musica e politica, musica e cultura, musica e vita nel veicolare quel ‘complessivo modo del sentire’ di una generazione, il cui transito è seguito per tappe musicali tra il ’68 e il ’90: tra la contestazione e la fine del conservatorismo di ‘ferro’, tra la Primavera di Praga e la Rivoluzione di velluto.

Musica e politica sulle ali del 'Rock’n’roll': migrazioni e contaminazioni

ESPOSITO, Lucia
2009-01-01

Abstract

L’ultima opera teatrale di Tom Stoppard, "Rock’n’roll", rappresentata per la prima volta a Londra nel giugno del 2006 e diretta da Trevor Nunn, sviluppa il concetto di migrazione su piani e assi diversi, spostandosi sincronicamente e in modo intermittente tra l’Inghilterra e la Cecoslovacchia (il protagonista è un ex emigrato ceco che torna al suo paese di origine, ma mantiene i suoi rapporti con Cambridge) e diacronicamente, dagli anni Sessanta ai Novanta. Centrale è il modo in cui l’autore rappresenta la trasformazione di un sogno generazionale, quello legato a valori e ideali appartenenti a una congerie storico-culturale unica quale quella del ’68, nel transito tra contesti geografici e sociali diversi e tra periodi storici diversi, trasferendosi quindi sul piano della memoria, e offrendo anche un interessante spunto di riflessione sul concetto stesso di ‘generazione’. Traendo ispirazione da alcuni scritti di Vaclav Havel, il drammaturgo fa però della musica il perno intorno al quale avvita il processo memoriale dell’opera. Negli anni Sessanta, interessati da una fondamentale convergenza delle arti e dei piani culturali alto/basso, nonché dal fiorire degli studi intorno alla nascente e subito proliferante pop culture, la musica pop e rock assume una posizione di assoluto protagonismo, facendosi portatrice di valori libertari e protestatari in un clima transnazionale di infuocata insofferenza verso ogni forma di gerarchia o istituzione. L’opera di Stoppard indugia quindi sulla fecondità della contaminazione tra musica e politica, musica e cultura, musica e vita nel veicolare quel ‘complessivo modo del sentire’ di una generazione, il cui transito è seguito per tappe musicali tra il ’68 e il ’90: tra la contestazione e la fine del conservatorismo di ‘ferro’, tra la Primavera di Praga e la Rivoluzione di velluto.
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