Tra le tante rivisitazioni letterarie del classico vittoriano di Charlotte Brontë, quella di Jasper Fforde assume connotati particolari perché non ne costituisce una riscrittura, né tanto meno un prequel o un sequel, ma si configura come ciò che è stato definito un parallelquel, ovvero una storia che si svolge parallelamente a quella del romanzo da cui trae ispirazione e che instaura con esso un rapporto non chiaramente definibile. Nel caso di "The Jane Eyre Affair", a ogni modo, il rapporto con l’opera brontiana, all’interno della quale grazie a un futuristico ‘portale della prosa’ i personaggi del romanzo di Fforde entrano ed escono – e nel farlo non solo interagiscono con i personaggi vittoriani ma interferiscono persino con l’andamento della storia –, sembra servire a uno scopo preciso: quello di far entrare il lettore all’interno dell’universo romanzesco e di farlo riflettere sui meccanismi stessi del suo funzionamento. Attraverso tale espediente, grazie al quale appare giocosamente ‘reificato’ l’atto stesso della lettura – l’immedesimazione, il feeling simbiotico con certi personaggi, e talora un coinvolgimento immaginativo tale da desiderare di modificare alcuni episodi, se non il finale stesso, della storia – l’autore coinvolge dunque il lettore in un’operazione fortemente autoreferenziale che, tuttavia, sotto le spoglie di un surreale caso di investigazione poliziesca, arriva ambiziosamente ad assumere le dimensioni di un’indagine sullo statuto stesso del letterario. Lo scrittore invita cioè a riflettere, attraverso “il caso Jane Eyre” (è questo il titolo della traduzione italiana) e la ponderazione del sopravvissuto capitale culturale del romanzo nell’epoca del multimediale e del digitale, non solo su come ‘funziona’ materialmente il racconto letterario, ma anche su quale sia attualmente la salute della letteratura, dell’oggetto libro, del genere romanzesco e dell’autore stesso dopo, e nonostante, la postmoderna preconizzazione delle loro morti.

Un 'caso' di indagine letteraria. La Jane Eyre di Jasper Fforde

ESPOSITO, Lucia
2012-01-01

Abstract

Tra le tante rivisitazioni letterarie del classico vittoriano di Charlotte Brontë, quella di Jasper Fforde assume connotati particolari perché non ne costituisce una riscrittura, né tanto meno un prequel o un sequel, ma si configura come ciò che è stato definito un parallelquel, ovvero una storia che si svolge parallelamente a quella del romanzo da cui trae ispirazione e che instaura con esso un rapporto non chiaramente definibile. Nel caso di "The Jane Eyre Affair", a ogni modo, il rapporto con l’opera brontiana, all’interno della quale grazie a un futuristico ‘portale della prosa’ i personaggi del romanzo di Fforde entrano ed escono – e nel farlo non solo interagiscono con i personaggi vittoriani ma interferiscono persino con l’andamento della storia –, sembra servire a uno scopo preciso: quello di far entrare il lettore all’interno dell’universo romanzesco e di farlo riflettere sui meccanismi stessi del suo funzionamento. Attraverso tale espediente, grazie al quale appare giocosamente ‘reificato’ l’atto stesso della lettura – l’immedesimazione, il feeling simbiotico con certi personaggi, e talora un coinvolgimento immaginativo tale da desiderare di modificare alcuni episodi, se non il finale stesso, della storia – l’autore coinvolge dunque il lettore in un’operazione fortemente autoreferenziale che, tuttavia, sotto le spoglie di un surreale caso di investigazione poliziesca, arriva ambiziosamente ad assumere le dimensioni di un’indagine sullo statuto stesso del letterario. Lo scrittore invita cioè a riflettere, attraverso “il caso Jane Eyre” (è questo il titolo della traduzione italiana) e la ponderazione del sopravvissuto capitale culturale del romanzo nell’epoca del multimediale e del digitale, non solo su come ‘funziona’ materialmente il racconto letterario, ma anche su quale sia attualmente la salute della letteratura, dell’oggetto libro, del genere romanzesco e dell’autore stesso dopo, e nonostante, la postmoderna preconizzazione delle loro morti.
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