I temi della giustizia, tra corruzione e perseveranza nei valori, sono i protagonisti che Ugo Betti muove sulla scena simbolica di un «Palazzo» (di Giustizia), metafora di un mondo «umido, polveroso, dai corridoi bui, in cui qualcuno certo origlia, bisbiglia, e trama…». Ma su questo sfondo tematico si coglie, in bassorilievo, la denuncia, ironica e sofferta, dei paradossi e delle fragilità della natura umana. L’opera Corruzione al Palazzo di Giustizia, nata nel 1944 ma rappresentata per la prima volta nel 1949, è da considerarsi una delle testimonianze più intense ed attuali sui rapporti fra diritto, politica e riflessione etica del dopoguerra nella letteratura teatrale del XX secolo «Teatro: punto luce in cui i popoli si specchiano, si giudicano, leggono in se stessi, vedono diventare fatto e carne i più segreti sospiri della loro coscienza; qualche cosa senza di che un popolo è nel mondo non soltanto un popolo muto, ma anche, in un certo senso, un popolo cieco, che va a tentoni». (Ugo Betti)

"Il gancio dei valori in Ugo Betti attraverso la via ermeneutica di Emilio Betti. Rileggendo "Corruzione al Palazzo di Giustizia"

RICCI, Fiammetta
2008-01-01

Abstract

I temi della giustizia, tra corruzione e perseveranza nei valori, sono i protagonisti che Ugo Betti muove sulla scena simbolica di un «Palazzo» (di Giustizia), metafora di un mondo «umido, polveroso, dai corridoi bui, in cui qualcuno certo origlia, bisbiglia, e trama…». Ma su questo sfondo tematico si coglie, in bassorilievo, la denuncia, ironica e sofferta, dei paradossi e delle fragilità della natura umana. L’opera Corruzione al Palazzo di Giustizia, nata nel 1944 ma rappresentata per la prima volta nel 1949, è da considerarsi una delle testimonianze più intense ed attuali sui rapporti fra diritto, politica e riflessione etica del dopoguerra nella letteratura teatrale del XX secolo «Teatro: punto luce in cui i popoli si specchiano, si giudicano, leggono in se stessi, vedono diventare fatto e carne i più segreti sospiri della loro coscienza; qualche cosa senza di che un popolo è nel mondo non soltanto un popolo muto, ma anche, in un certo senso, un popolo cieco, che va a tentoni». (Ugo Betti)
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