L’Autore si interroga sulla nozione di “beni di consumo”, movendo dalla definizione normativa introdotta nel nostro ordinamento nell’ambito del nuovo diritto privato europeo (ai sensi del d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, Attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo) dapprima all’interno del codice civile nell’art. 1519-bis, 2° comma, lett. b) cod. civ., poi trasferita nell’art. 128, 2 comma, lettera a) del Codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206).La definizione legislativa (“qualsiasi bene mobile, anche da assemblare”) induce l’interprete ad interrogarsi sulla ratio delle varie esclusioni (“1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; 2) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; 3) l’energia elettrica”), e quindi a concludere rilevando la marcata “artificialità” della categoria di beni in esame, che risulta priva di riferimenti di carattere naturale o materiale, e quindi non già semplicemente “descritta” dalla norma sulla base di una realtà concreta e preesistente, bensì “creata” in virtù di un artificio legislativo.Anche la puntuale disamina delle ipotesi di esclusione specificamente indicate dal legislatore (accanto alle quali l’Autore ne desume anche talune ulteriori non espressamente previste, ad esempio con riferimento ai beni “artistici” o “artigianali”, e ad altri beni mobili il cui mercato è diversamente regolato da proprie discipline speciali), così come la scelta legislativa di assoggettare alla novella anche i beni “usati” (cui l’Autore dedica diffuse considerazioni critiche nell’ultimo paragrafo del saggio), confermano il convincimento che “Ciò che sembra caratterizzare i beni di consumo è, quindi, non già una propria peculiare natura intrinseca, bensì semplicemente la ordinaria e normale destinazione dei comuni beni mobili al mercato dei consumatori”.In particolare, sebbene ciò non sia espressamente specificato nella legge, la nozione sembrerebbe da intendersi circoscritta ai beni (fungibili) prodotti in serie o fabbricati secondo criteri standardizzati.Infatti, proprio le modalità di produzione (seriale) o di fabbricazione (standardizzata) costituirebbero l’elemento caratterizzante (e quindi un indice rivelatore) della natura dei beni di consumo, destinati, appunto, al mercato dei consumatori.[...]

La noción de "bienes de consumo"

CARLEO, Roberto
2009-01-01

Abstract

L’Autore si interroga sulla nozione di “beni di consumo”, movendo dalla definizione normativa introdotta nel nostro ordinamento nell’ambito del nuovo diritto privato europeo (ai sensi del d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, Attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo) dapprima all’interno del codice civile nell’art. 1519-bis, 2° comma, lett. b) cod. civ., poi trasferita nell’art. 128, 2 comma, lettera a) del Codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206).La definizione legislativa (“qualsiasi bene mobile, anche da assemblare”) induce l’interprete ad interrogarsi sulla ratio delle varie esclusioni (“1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; 2) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; 3) l’energia elettrica”), e quindi a concludere rilevando la marcata “artificialità” della categoria di beni in esame, che risulta priva di riferimenti di carattere naturale o materiale, e quindi non già semplicemente “descritta” dalla norma sulla base di una realtà concreta e preesistente, bensì “creata” in virtù di un artificio legislativo.Anche la puntuale disamina delle ipotesi di esclusione specificamente indicate dal legislatore (accanto alle quali l’Autore ne desume anche talune ulteriori non espressamente previste, ad esempio con riferimento ai beni “artistici” o “artigianali”, e ad altri beni mobili il cui mercato è diversamente regolato da proprie discipline speciali), così come la scelta legislativa di assoggettare alla novella anche i beni “usati” (cui l’Autore dedica diffuse considerazioni critiche nell’ultimo paragrafo del saggio), confermano il convincimento che “Ciò che sembra caratterizzare i beni di consumo è, quindi, non già una propria peculiare natura intrinseca, bensì semplicemente la ordinaria e normale destinazione dei comuni beni mobili al mercato dei consumatori”.In particolare, sebbene ciò non sia espressamente specificato nella legge, la nozione sembrerebbe da intendersi circoscritta ai beni (fungibili) prodotti in serie o fabbricati secondo criteri standardizzati.Infatti, proprio le modalità di produzione (seriale) o di fabbricazione (standardizzata) costituirebbero l’elemento caratterizzante (e quindi un indice rivelatore) della natura dei beni di consumo, destinati, appunto, al mercato dei consumatori.[...]
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