L’unione con una donna che escluda il vincolo matrimoniale non è estranea, com’è noto, all’esperienza giuridica romana che tende a considerarla come un surrogato del rapporto instaurato con le nozze legittime, senza darle alcuna valutazione aprioristica di riprovazione morale. Di particolare interesse è lo studio dei rapporti tra le più antiche fonti disciplinari ecclesiastiche e la legislazione romana; per quanto attiene in particolare alle materie inerenti il diritto di famiglia, esse denunciano nella loro sistemazione dottrinale e normativa la contemporanea influenza del pensiero conciliare e di quello della comunità civile. Anche in questo ambito è infatti possibile rinvenire nelle leggi imperiali le tracce di dispute originate dalla dottrina ecclesiastica, poiché è la comunità ecclesiale a dover prendere sempre più spesso posizione di fronte a un fenomeno così diffuso quale il concubinato, denotando a volte un’incertezza che, a un’analisi più attenta, si rivela solo apparente. Attraverso il contributo ci si è proposti di chiarire l’atteggiamento della comunità cristiana in argomento di concubinato e in particolare di rivedere la portata e il contenuto della dichiarazione del canone 17 del primo Concilio di Toledo dell’anno 400 d.C. Lo spartiacque tracciato dal cristianesimo tra moglie legittima e concubina prescinderà dai formalismi con cui si è instaurato il rapporto: quando infatti il Concilio di Toledo si troverà ad affrontare l’argomento e a stabilirne le linee direttive, era impensabile che queste ultime fossero in aperto contrasto con le leggi civili del V secolo, le quali mantenevano in vigore molti dei divieti matrimoniali. La concubina tenuta come moglie è sicuramente la donna con la quale persiste l’affectio e non si commette peccato. Il valore dogmatico del cristianesimo è espresso dai Padri della Chiesa, per quanto attraverso due correnti di pensiero: elasticità religiosa propria dell’attività conciliare, rigidità teologica caratteristica dei grandi pensatori. In realtà il dettato del canone conciliare, che colma un silenzio durato quattro secoli, sembra avere avuto minore forza di quel che può apparire, poiché da Toledo non si leva una voce netta di condanna, bensì una presa d’atto. La Comunità cristiana applica ai concubini, senza comunque legittimarli, quei requisiti comuni all’istituto matrimoniale secondo la legislazione dello Stato non allontanando coloro che tengono la donna pro uxore, che Graziano interpreterà in seguito come una sorta di parificazione all’unione nuziale, con la sola carenza delle formule esteriori: uxor non solemniter ducta. [...]

Il concubinato nella tarda antichità tra legge laica e visione religiosa

Luigi Sandirocco
2004-01-01

Abstract

L’unione con una donna che escluda il vincolo matrimoniale non è estranea, com’è noto, all’esperienza giuridica romana che tende a considerarla come un surrogato del rapporto instaurato con le nozze legittime, senza darle alcuna valutazione aprioristica di riprovazione morale. Di particolare interesse è lo studio dei rapporti tra le più antiche fonti disciplinari ecclesiastiche e la legislazione romana; per quanto attiene in particolare alle materie inerenti il diritto di famiglia, esse denunciano nella loro sistemazione dottrinale e normativa la contemporanea influenza del pensiero conciliare e di quello della comunità civile. Anche in questo ambito è infatti possibile rinvenire nelle leggi imperiali le tracce di dispute originate dalla dottrina ecclesiastica, poiché è la comunità ecclesiale a dover prendere sempre più spesso posizione di fronte a un fenomeno così diffuso quale il concubinato, denotando a volte un’incertezza che, a un’analisi più attenta, si rivela solo apparente. Attraverso il contributo ci si è proposti di chiarire l’atteggiamento della comunità cristiana in argomento di concubinato e in particolare di rivedere la portata e il contenuto della dichiarazione del canone 17 del primo Concilio di Toledo dell’anno 400 d.C. Lo spartiacque tracciato dal cristianesimo tra moglie legittima e concubina prescinderà dai formalismi con cui si è instaurato il rapporto: quando infatti il Concilio di Toledo si troverà ad affrontare l’argomento e a stabilirne le linee direttive, era impensabile che queste ultime fossero in aperto contrasto con le leggi civili del V secolo, le quali mantenevano in vigore molti dei divieti matrimoniali. La concubina tenuta come moglie è sicuramente la donna con la quale persiste l’affectio e non si commette peccato. Il valore dogmatico del cristianesimo è espresso dai Padri della Chiesa, per quanto attraverso due correnti di pensiero: elasticità religiosa propria dell’attività conciliare, rigidità teologica caratteristica dei grandi pensatori. In realtà il dettato del canone conciliare, che colma un silenzio durato quattro secoli, sembra avere avuto minore forza di quel che può apparire, poiché da Toledo non si leva una voce netta di condanna, bensì una presa d’atto. La Comunità cristiana applica ai concubini, senza comunque legittimarli, quei requisiti comuni all’istituto matrimoniale secondo la legislazione dello Stato non allontanando coloro che tengono la donna pro uxore, che Graziano interpreterà in seguito come una sorta di parificazione all’unione nuziale, con la sola carenza delle formule esteriori: uxor non solemniter ducta. [...]
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